«Vogliamo vedere il sole». Nascosti da sessanta giorni nel buio dei sotterranei dell’acciaieria Azovstal vogliono che «l’Ucraina vinca», vogliono «tornare a casa». Ma ancora prima desiderano tornare a giocare alla luce: a parlare sono quindici bambini e bambine che raccontano giorni fatti di una quotidianità lontana da qualsiasi normalità. Ci sono le mamme angosciate, le nonne e anche i neonati venuti al mondo durante le settimane dell’assedio di Mariupol nella pancia di una della più grandi acciaierie d’Europa. E tutti sperano ancora in una via d’uscita. Dura dieci minuti il video girato lo scorso 21 aprile e che viene postato sui social dal battaglione Azov per raccontare queste vite lacerate. A rendere colorati i muri grigi ci sono i panni appesi ai fili sopra una distesa di letti: la telecamera, corridoio dopo corridoio, inquadra i visti stravolti dalla guerra. Indumenti pesanti ai bambini, per ripararsi dal gelo che abita i sotterranei dell’acciaieria; una giacca identica per tutte le donne o quasi: sembra un’uniforme, potrebbero avergliela data i soldati o potrebbero averle trovate lì, difficile a dirsi.
Chiedono garanzie prima di uscire
Chi non si perde d’animo e cerca in piccoli gesti quotidiani di resistere acconcia i capelli in lunghe trecce. Chi invece non ce la fa più a nascondere le atrocità di vivere inseguito dal terrore delle bombe russe implora aiuto: «Chiediamo le garanzie di sicurezza per poter uscire da qui». Una giovane donna racconta di «bambini che non riescono ad andare in bagno normalmente perché vivono sempre nella paura». E poi anche «il cibo sta finendo». Non c’è altro obiettivo: «Dobbiamo uscire da qui». Per andare dove? In qualche zona «più sicura, ma sempre in Ucraina», è la risposta dei più coraggiosi.
Il rischio di rimanere intrappolati nei cunicoli
Bimbi ma soprattutto donne e anche qualche anziano, sono arrivati qui pensando che si sarebbe aperto un corridoio verde, e invece si trovano bloccati in cunicoli lunghi chilometri e dai quali sembra sempre più difficile uscire. Capace di sfornare quasi quattro milioni di tonnellate l’anno di semilavorati destinati ai principali mercati europei e mondiali, Azovstal è diventata il simbolo della resistenza della città di Mariupol, martoriata da settimane dall’invasione russa. E’ una sorta di gigantesco bunker, quello scelto dalla resistenza del battaglione Azov con una schiera di combattenti ucraini e volontari: molti dei quali provenienti da Paesi europei e dal Canada, per lo più mercenari, secondo l’accusa dei russi.
Sfumano le speranze di nuovi corridoi umanitari
Ma le condizioni per i corridoi umanitari continuano a non esserci. Nelle ultime ore sono ripresi i bombardamenti sull’acciaieria e le speranze di Kiev di aprire un varco per i civili con il passare del tempo sembra ancora una volta sfumare. Il terrore torna a impossessarsi delle tante persine intrappolate, ed è sempre più difficile spiegare ai bambini il perchè di tanta paura e di tanta follia. Nessuno sa rispondere alle loro domande, qualcuno ci prova ma trovare le giuste parole non è affatto semplice. «Capisco sia difficile per voi. I corridoi sono stati fatti saltare così tante volte. Ma io e voi dobbiamo provarci tutte le volte che sarà necessario finché non funzionerà», ha cercato di incoraggiare la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk. E in fondo a quegli interminabili tunnel la luce non si vede ancora. Chissà se quelle donne, quei bambini, quegli anziani sanno degli ordini impartiti negli ultimi giorni dal presidente russo Vladimir Putin al suo ministro della Difesa e ai suoi generali: “Dall’Azovstal non dovrà sfuggire neanche una mosca».