Si apre un nuovo fronte in Ucraina. Da Kiev arriva una proposta di legge che vorrebbe mettere al bando la Chiesa ortodossa che nel Paese è ancora legata al Patriarcato di Mosca. È «una violazione del diritto della libertà di religione», tuona il Patriarcato guidato da Kirill, del quale si fa portavoce l’ambasciata russa presso la Santa Sede. Vladimir Legoyda, presidente del dipartimento sinodale per i rapporti tra Chiesa, società e media del Patriarcato di Mosca, ha affermato che «l’adozione di progetti di legge volti all’eliminazione» della presenza del Patriarcato di Mosca in Ucraina «comporterebbe un aggravamento della crisi e provocherebbe un nuovo scontro civile». La legge, se dovesse essere attuata, prevede anche la confisca dei beni nel giro di 48 ore dall’entrata in vigore. Le metropolie ortodosse ucraine sotto l’ombrello di Mosca avrebbero invece quattordici giorni di tempo, sempre se la legge verrà effettivamente approvata dal Parlamento ucraino, per aderire alla Chiesa ortodossa ucraina ’autocefalà, che si era staccata dalla Chiesa russa nel 2018 dando vita ad uno scisma.
Si tratta di un fattore che potrebbe gettare ulteriore benzina sul fuoco. Anche se è da sottolineare che la guerra ha in ogni caso prodotto una lacerazione all’interno degli ortodossi che sarà difficile da risanare. Nella parte di Chiesa ucraina che ancora risponde al Patriarca russo Kirill si sono registrate in queste settimane di bombe diverse prese di distanza da parte di alcuni metropoliti. E la ‘protestà si manifesta proprio sull’altare, nelle divine liturgie, dove in questi casi non viene più menzionato il nome del patriarca Kirill.
Ma un conto è questo movimento di base, un altro invece sarebbe una legge che metterebbe alla porta la Chiesa ortodossa russa che ha le sue origini storiche proprio in Ucraina, nata infatti dal battesimo del principe Vladimir I di Kiev nel 988. Secondo il Patriarcato di Mosca l’iniziativa legislativa ucraina “non contribuirà in alcun modo alla ‘protezione della sicurezza nazionale, della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucrainà e alla ‘protezione della sicurezza e dell’ordine pubblicò, come recita il progetto di legge, ma, al contrario, in condizioni di guerra, aprirà un fronte religioso» e «dividerà il Paese».
Si grida dunque al rispetto della libertà religiosa. Anche se Mosca non ha sempre reso facile la vita, per esempio, alla minoranza cattolica. «Penso ai cavilli che rallentano il riconoscimento di una parrocchia o, talvolta, la poca disponibilità a elargire permessi di soggiorno», confida il vescovo cattolico di Mosca, mons. Paolo Pezzi, nel suo recente libro «La piccola Chiesa nella grande Russia» (edizioni Ares).
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