«Presidente, parliamo di pace». È metà pomeriggio quando il presidente del Consiglio Mario Draghi sente al telefono il presidente russo Vladimir Putin per rinnovargli, in viva voce, l’appello a fermare al più presto le armi per lasciare davvero il posto alla diplomazia e avvicinare la fine della guerra. Inevitabile un confronto sul gas, di cui l’Italia è secondo acquirente Europeo dopo la Germania, e sul sistema dei pagamenti in rubli che doveva scattare, come ritorsione, già dalla fine del mese e invece non se ne parlerà almeno fino alla prossima settimana.
A Palazzo Chigi hanno preparato con cura il contatto con il Cremlino. L’ultimo risale a quasi due mesi fa, quando la crisi era in atto ma nessuno, nelle cancellerie occidentali, pensava che davvero Mosca avrebbe sferrato un attacco militare all’Ucraina. Ora ce ne saranno altri, forse già la prossima settimana, perché da entrambe le parti si è concordato sulla opportunità di mantenersi in contatto.
Il colloquio - dopo che a fine febbraio l’ipotesi di un viaggio a Mosca del premier era stata cancellata dall’invasione russa dell’Ucraina - è lungo, prosegue per quasi un’ora. Draghi fa molte domande al capo del Cremlino, per capire fino a che punto stiano producendo risultati le trattative che si sono aperte ieri a Istanbul. Stati Uniti e Ue restano scettici sui reali passi avanti senza un cessate il fuoco che Draghi chiede “al più presto» per «proteggere» i civili e «sostenere lo sforzo negoziale». Al suo interlocutore conferma la disponibilità del governo italiano a contribuire al processo di pace, ma, ribadisce a più riprese, in presenza di «chiari segni» di de-escalation da parte della Russia. Putin finora, ha sostenuto il premier in tutte le occasioni pubbliche, non ha mai dato veri segnali di volere la pace, ha disatteso gli impegni sui corridoi umanitari e ha continuato a colpire le città con l’artiglieria pesante anche alla vigilia dei negoziati di Istanbul. Ora appare qualche spiraglio, riconosciuto a fasi alterne, e con letture a volte opposte, da Kiev e da Mosca: «Valuteremo gli annunci russi dai fatti», aveva detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in mattinata, preannunciando la telefonata. Lo stesso realismo con cui Draghi ha ascoltato le parole di Putin che si sarebbe detto «ottimista» sull’esito dei negoziati.
Al premier italiano il leader russo, raccontano dallo staff di Palazzo Chigi, ha espresso soddisfazione sia perché l’Ucraina starebbe accettando la questione della neutralità territoriale, di cui peraltro l’Italia, insieme ad altri alleati, potrebbe fare da garante. Certo, sarebbe difficile assecondare la richiesta ucraina di un «obbligo di difesa» cui legare i paesi garanti. Ma «siamo a uno stadio preliminare», prima «arriviamo alla pace», poi si penserà ai possibili scenari di aggressioni future, tagliano corto fonti diplomatiche italiane.
Sembra restare sullo sfondo, anche se vale miliardi, la questione del gas: Putin, si limita a dire Palazzo Chigi, «ha descritto il sistema dei pagamenti del gas russo in rubli». A Mosca, è la lettura europea, il sistema delle sanzioni inizierebbe a pesare. Tanto che anche in una conversazione con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, Putin avrebbe assicurato intanto che i pagamenti potranno continuare per il momento ancora in euro. E che in ogni caso che il passaggio alla moneta russa non sarebbe «peggiorativo» dei contratti sottoscritti dai clienti europei. Draghi sul punto avrebbe ascoltato senza replicare, ma la posizione italiana e degli alleati, era emersa con chiarezza già nei vertici della scorsa settimana a Bruxelles. Una richiesta di saldare in rubli sarebbe «illegale», una «violazione» dei contratti respinta con forza da Ue e G7.
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