Mercoledì 18 Dicembre 2024

Pelle squamata e occhi rossi: Abramovich avvelenato durante i negoziati Russia-Ucraina

Roman Abramovich

Roman Abramovich, l’oligarca vicino a Vladimir Putin e in prima linea nelle trattative di pace in Ucraina, è stato avvelenato. La clamorosa rivelazione del Wall Street Journal - confermata dal miliardario russo, che ora sta bene - arriva alla vigilia del nuovo round di colloqui che si apre domani in Turchia e getta un’ombra ancora più inquietante sui negoziati. Il tycoon, di madre ucraina, è stato coinvolto fin dall’inizio nelle trattative, pare su richiesta di Kiev e con il via libera del Cremlino. La sua presenza era stata segnalata già durante il primo incontro del 28 febbraio tra le delegazioni nella regione di Gomel, in Bielorussia. Il presunto avvelenamento si sarebbe consumato però durante un incontro avvenuto con due negoziatori ucraini a Kiev all’inizio di marzo, tra il 3 e il 5 del mese. E’ stato allora che Abramovich ha accusato i sintomi, fra i quali «desquamazione della pelle del viso e delle mani, occhi rossi» e una «profusa e dolora lacrimazione», come ha rivelato il Wall Street Journal, riferendo di problemi analoghi anche per gli altri due ucraini, tra cui il deputato Rustem Umerov.

Kiev smentisce e parla di speculazione

Kiev per il momento ha smentito parlando di «speculazione». Il consigliere della presidenza e capo negoziatore Mikhailo Podolyak ha rassicurato sul fatto che tutti «lavorano come al solito». Ma un portavoce di Abramovich ha confermato tutto ai media del Regno Unito, dove l’oligarca è stato a lungo residente, in veste fra l’altro di patron della squadra di calcio del Chelsea.

I sintomi confermano la versione dell'avvelenamento

I sintomi patiti, secondo gli esperti, sembrano confermare la versione dell’avvelenamento, anche se al momento è difficile stabilire il fattore scatenante, ovvero se sia trattato di un agente biologico o chimico oppure di una qualche forma di attacco con radiazioni elettromagnetiche. L’agenzia investigativa Bellingcat ritiene i sintomi compatibili con un avvelenamento con armi chimiche. Ma la difficoltà nello stabilire con esattezza la causa è legata all’impossibilità di raccogliere campioni in modo tempestivo a Leopoli, dove Abramovich si era fermato brevemente dopo l’incontro a Kiev per poi ripartire. L’unica cosa che sembrerebbe certa è che la quantità di veleno usata non puntava a uccidere: l’obiettivo sarebbe stato più avvertirlo e spaventarlo. Impossibile ovviamente anche stabilire di chi sia stata la mano dietro l’avvelenamento, ma il sospetto cade su quei falchi del Cremlino intenzionati a sabotare le trattative di pace. Abramovich comunque non ha mollato e, secondo fonti vicine all’oligarca, sarebbe intenzionato a continuare a giocare fino in fondo il ruolo di facilitatore. Oltre ad aver partecipato al primo incontro fra Kiev e Mosca a fine febbraio, nelle settimane successive ha incontrato direttamente Putin. L’ultima mercoledì scorso, quando si sarebbe recato dallo zar con una lettera firmata direttamente dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky e contenente le condizioni di Kiev per un accordo di pace. «Digli che li spazzerò via», lo avrebbe però gelato il leader russo secondo quanto ricostruisce il Times.

Il ruolo di mediatore dell'oligarca

L’azione di Abramovich dietro le quinte lo ha portato anche a contattare l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroder. Nell’ultima settimana è volato in Polonia e in Ucraina, e ora è a Istanbul, dove domani è in programma il nuovo round di negoziati. Nonostante le pesanti sanzioni che gli sono state comminate in Europa e soprattutto in Gran Bretagna - ma non dagli Stati Uniti - Abramovich non si è lasciato intimidire e ha continuato a lavorare con l’obiettivo della pace in Ucraina. Sarebbe stato direttamente Zelensky a chiedere a Joe Biden di attendere prima di imporgli sanzioni visto il suo ruolo. Un invito che Biden per il momento ha accolto. L’affaire Abramovich arriva dopo una lunga serie di avvelenamenti imputati ai russi dalla comunità internazionale. Uno dei casi più recenti è naturalmente quello di Alexei Navalny, il nemico numero uno di Putin, avvelenato con un composto al nervino individuato poi con il Novichok. Navalny è sopravvissuto all’attacco e ora è in carcere in Russia dopo le cure che gli sono state offerte dagli specialisti di Berlino, dove fu portato d’urgenza. Nel 2018 invece Londra accusò Mosca del tentativo di avvelenamento attribuito sempre a un agente nervino di tipo Novichok contro l’ex spia doppiogiochista russa Serghiei Skripal e sua figlia Yulia a Salisbury. Una lunga e sinistra tradizione che ora rischia però di far saltare il già precario tavolo delle trattative di pace per l’Ucraina.

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