Intrappolati da un documento che non le riconosce ancora come donne. E’ la guerra nella guerra che stanno vivendo le centinaia di transgender in fuga dall’Ucraina. Una volta arrivate ai confini vengono rimandate indietro perché, documenti ufficiali alla mano, non possono lasciare il Paese, come previsto per tutti gli uomini dalla legge marziale entrata in vigore subito dopo l’invasione russa. «Abbiamo avuto centinaia di segnalazioni di casi simili. L’unica soluzione - dicono sconsolati le associazioni Lgbtq di Kiev - è quella di andare dal proprio medico e poi, con il certificato, recarsi all’ufficio militare per essere eliminate dalla lista per l’arruolamento». Difficile spiegarlo a chi, borsoni alla mano, è riuscita a raggiungere il confine, magari dopo giorni di viaggio schivando colpi di mortaio ed esplosioni.
A Chelm, pochi chilometri dal confine tra Polonia e Ucraina, sono in pochi ad ammettere di avere amici transgender. La questione del genere, e dell’omosessualità in particolare, in Ucraina è ancora un tabù per molti. I diritti gay nel Paese non sono tutelati da alcuna legge né tantomeno c’è grandissima sensibilità sul tema. Ma c’è anche chi, al confine, parla liberamente della questione. «Alcune mie amiche sono ancora in Ucraina e stanno cercando di capire come fare per poter passare il confine con il loro passaporto», dice Renata, 44 anni, scappata proprio da Kiev. Storie e racconti simili si susseguono anche sui social e nei blog delle tante associazioni che stanno aiutando l’intera comunità. Alcune di loro sono costrette anche a consigliare di mentire, dicendo alla frontiera di aver perso i documenti, in modo da poter essere riconosciute come donne.
«Le guardie ti spogliano e ti toccano dappertutto - il drammatico resoconto di Judis sulle pagine del Guardian -. Puoi vedere sulle loro facce che si stanno chiedendo ma cosa sei tu? come un tipo di animale o qualcosa di simile». Secondo alcune stime delle organizzazioni ucraine, in centinaia di transgender hanno cercato di varcare il confine dall’inizio della guerra, ma circa il 90% di loro è stato respinto. A raccontare la sua Odissea, nei giorni scorsi, è stata anche Zi Famelu, transgender diventata celebre anche per aver partecipato ad un talent televisivo chiamato «Stars Factory». «Sono in pericolo - raccontava dal confine attraverso i social network -. Non so cosa fare. Ho urgente bisogno di aiuto, perché tutti qui sono omofobi e transfobici». Solo qualche giorno fa, sempre tramite Instagram, l’artista ha annunciato di essere riuscita a passare in «un’altra nazione». «Sono ancora viva - ha scritto -. Sono passata in un altro modo. Non posso condividere i dettagli, ma presto conto di dirvi cosa mi è successo».
Dai confini ucraini, l’eco di tante storie arriva anche in Italia. Il partito gay guidato da Fabrizio Marrazzo chiede l’intervento del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per «consentire anche a medici italiani volontari di andare al confine per certificare le persone trans e farle uscire dall’Ucraina». Un’impasse drammatico che rischia di fare nuovi prigionieri di guerra.
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