«Da pochi giorni a una settimana e mezzo» questo l’orizzonte temporale entro il quale l’Ucraina punta ad arrivare ad un accordo di pace con la Russia, secondo quanto annunciato dal capo negoziatore di Kiev, Mikhailo Podolyak. Dieci giorni che diranno se è possibile non solo mettere fine al bagno di sangue ma anche rafforzare la sicurezza futura dell’intera Europa. A fare da garanti per tale intesa, fa sapere Ankara, dovrebbero essere diversi Paesi, tra cui i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (compresa dunque la Russia), la Turchia e la Germania. E’ dunque un accordo di vasto respiro quello al quale si sta lavorando, grazie al ruolo sempre più marcato della Turchia, il cui ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu è arrivato a Leopoli dopo colloqui avuti il giorno prima a Mosca. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è tornato a parlare al telefono con Vladimir Putin. Mentre il punto sulle trattative sarà fatto anche in una conversazione telefonica in programma venerdì tra il presidente americano Joe Biden e quello cinese Xi Jinping. Il possibile ruolo della Repubblica popolare, che ha ottimi rapporti di cooperazione con la Russia ma anche con l’Ucraina (di entrambi è il primo partner commerciale), è visto del resto come fondamentale da diverse fonti diplomatiche. Mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è tornato intanto a riunirsi per esaminare la situazione sul terreno Le previsioni su un possibile accordo imminente, fatte da Podolyak in un’intervista al portale polacco Wirtualna Polska, non giustificano tuttavia ancora l’ottimismo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in un’intervista alla Nbc, ha parlato infatti di negoziati ancora «abbastanza difficili». Il suo ministro degli Esteri Dmytro Kuleba riconosce che la delegazione del suo Paese e quella della Russia sono ancora “lontane» da un accordo. Mentre secondo il segretario di Stato Usa Antony Blinken, Mosca non starebbe facendo «sforzi significativi» nelle trattative. D’altra parte, con buona pace dei negoziatori, l’unico a decidere in Russia resta Vladimir Putin, che oggi Biden è tornato a chiamare «un dittatore omicida» dopo avergli dato del «criminale di guerra». «Tutti cerchiamo la pace, ma purtroppo il presidente Putin non vuole la pace», ha chiosato anche il premier Mario Draghi. Podolyak comunque non ha voluto confermare la lista dei Paesi che dovrebbero fare da garanti all’intesa, accennando alla possibilità che possa comprendere anche la Polonia. Per ora, ha spiegato, i lavori delle due delegazioni proseguono a livello di sottocommissioni per affrontare temi specifici, quali le questioni umanitarie, le evacuazioni dei civili e i problemi economici. Ma l’argomento più spinoso è quello legale. L’intesa infatti non dovrà violare gli accordi internazionali già esistenti e le Costituzioni dei due Paesi. E, soprattutto, dovrà essere trovata una formula precisa e vincolante su quali siano le garanzie di sicurezza riconosciute a Kiev una volta che avrà accettato di rinunciare ad entrare nella Nato e si dichiarerà Paese neutrale. A questo proposito il capo negoziatore ucraino ha citato il precedente che ancora brucia a Kiev e che contribuisce a minare la sua fiducia nei confronti non solo della Russia ma anche dell’Occidente: l’accordo, ha affermato, non dovrà essere «un nuovo Memorandum di Budapest». Cioè il documento firmato nel 1994 con il quale l’Ucraina rinunciava al suo arsenale nucleare, eredità dell’era sovietica. Quel memorandum fu controfirmato da Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti, che con esso si impegnavano a rispettare la sovranità dell’Ucraina e ad astenersi dall’uso della forza contro di essa. Come sia finita è in questi giorni sotto gli occhi di tutti. L’invasione ha fatto saltare in aria i ponti, ha sottolineato Podolyak, affermando che se anche se un accordo di pace sarà raggiunto, il suo Paese creerà un «confine forte» e tratterà «la Russia con la freddezza che merita un Paese che ha invaso la nostra casa per ucciderci». Ora, però, è il momento di cercare una soluzione diplomatica, come ha sottolineato anche il capo della Farnesina Luigi Di Maio in una conversazione telefonica con Kuleba. «Per questo - ha aggiunto - continueremo a parlare con attori terzi, come Turchia, Cina, Israele, che possano facilitare una mediazione».