In un’intervista alla Cnbc l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, ha dichiarato che il nuovo vaccino contro Omicron «sarà pronto a marzo» e ha detto di non sapere se una quarta dose sarà necessaria. «La speranza è raggiungere qualcosa che ci garantisca una migliore protezione, in particolare contro il contagio, perché la protezione dal ricovero e dai sintomi gravi è già ragionevole, in questo momento, con gli attuali vaccini, fintanto che si fa la terza dose», ha spiegato Bourla. L’ad di Pfizer ha spiegato che la nuova versione del vaccino prende di mira anche le altre varianti in circolazione, ma non ha specificato come sarà usato. Pfizer, ha detto Bourla, preparerà alcune dosi del vaccino contro Omicron perché ci sono governi che lo vogliono pronto il prima possibile.
La risposta al vaccino attuale
Al momento, si lavora con i vaccini già esistenti. Secondo uno studio sostenuto dalla Ue attraverso Hera, l’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitaria e condotto da un team guidato dagli scienziati dell’Institut Pasteur di Parigi, la variante Omicron della Sars-CoV-2, infatti, è molto meno sensibile agli anticorpi neutralizzanti rispetto alla variante Delta e si trasmette con molta più rapidità. Cinque mesi dopo la vaccinazione, gli anticorpi presenti nel sangue delle persone non erano più in grado di fermarla. Una perdita di efficacia riscontrata anche nei soggetti infettati e guariti dal Covid. Ma, con la somministrazione di una terza dose di richiamo, il cosiddetto booster, o con una singola dose nei guariti, la variante Omicron si imbatterà in anticorpi in grado di neutralizzarla. Per condurre lo studio è stato analizzato il sangue di soggetti vaccinati con due dosi di Pfizer o di AstraZeneca e quello di persone guarite dall’infezione di Covid-19.
I test prima e dopo il richiamo
Nel corso dello studio, pubblicato a dicembre su Nature, gli scienziati hanno effettuato la sperimentazione sul campione nasale di una donna di 32 anni che aveva sviluppato una forma di Covid-19 leggera al ritorno da un viaggio in Egitto, sottoponendolo ai test con anticorpi monoclonali e campioni di siero di persone vaccinate con 2 dosi o guarite dall’infezione. Gli scienziati hanno inizialmente testato nove anticorpi monoclonali già in fase di utilizzo e in fase di sviluppo preclinico. Sei di questi hanno perso tutta la capacità antivirale e gli altri tre erano da 3 a 80 volte meno efficaci contro Omicron rispetto a Delta. Gli anticorpi Bamlanivimab/Etesevimab (una combinazione sviluppata da Lilly), Casirivimab/Imdevimab (una combinazione sviluppata da Roche e nota come Ronapreve) e Regdanvimab (sviluppato da Celtrion) non hanno più avuto alcun effetto antivirale contro Omicron. La combinazione Tixagevimab/Cilgavimab (sviluppata da AstraZeneca con il nome Evusheld) è risultata 80 volte meno efficace contro Omicron che contro Delta. Durante lo studio, gli scienziati hanno osservato che il sangue di pazienti precedentemente infettati da Covid-19, raccolto fino a 12 mesi dopo i sintomi, e quello di individui che avevano ricevuto due dosi del vaccino Pfizer o AstraZeneca, prelevate cinque mesi dopo la vaccinazione, neutralizzavano a malapena la variante Omicron. Ma i sieri degli individui che avevano ricevuto una dose di richiamo di Pfizer, analizzati un mese dopo la vaccinazione, sono rimasti efficaci contro Omicron. Tuttavia, per neutralizzare Omicron sono stati necessari da 5 a 31 volte in più di anticorpi, rispetto a Delta, nei test di coltura cellulare.