Riconoscere che il messaggio del Natale «non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza» del Dio-bambino che viene al mondo. E quindi «abbracciare Gesù nei piccoli di oggi», gli ultimi, i poveri, mettendo da parte disprezzo e indifferenza. Ma allo stesso tempo impegnarsi perché sia data «dignità al lavoro», anche scongiurando la gravissima piaga delle cosiddette «morti bianche». Non trascura temi di forte attualità l’omelia di papa Francesco nella messa della Notte di Natale, celebrata nella Basilica di San Pietro davanti a circa 1.500 persone, anche quest’anno anticipata alle 19.30 come lo era stata l’anno scorso ai tempi del coprifuoco anti-Covid.
La sfida del Natale: comprendere la via della piccolezza
Per il Pontefice, «la sfida di Natale» è, guardando il presepe, saper accogliere e comprendere «la via della piccolezza». Perché «Dio si rivela, ma gli uomini non lo capiscono. Lui si fa piccolo agli occhi del mondo e noi continuiamo a ricercare la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo. Dio si abbassa e noi vogliamo salire sul piedistallo. L’Altissimo indica l’umiltà e noi pretendiamo di apparire. Dio va in cerca dei pastori, degli invisibili; noi cerchiamo visibilità. Gesù nasce per servire e noi passiamo gli anni a inseguire il successo». «Dio non ricerca forza e potere - avverte Francesco -, domanda tenerezza e piccolezza interiore». Ecco allora «che cosa chiedere a Gesù per Natale: la grazia della piccolezza». Perché, secondo il Papa, «è un messaggio di grande speranza: Gesù ci invita a valorizzare e riscoprire le piccole cose della vita». «Lasciamoci allora alle spalle i rimpianti per la grandezza che non abbiamo. Rinunciamo alle lamentele e ai musi lunghi, all’avidità che lascia insoddisfatti!», ammonisce il Pontefice.
«Amare Gesù negli ultimi, servirlo nei poveri»
Ma «accogliere la piccolezza» significa anche «amare Gesù negli ultimi, servirlo nei poveri». «Sono loro i più simili a Gesù, nato povero - ricorda Bergoglio -. Ed è in loro che Lui vuole essere onorato. In questa notte di amore un unico timore ci assalga: ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza». Il Papa va anche oltre, perché sempre guardando il presepe vede i pastori come «i dimenticati delle periferie», persone la cui «dignità è messa alla prova». Insomma, Gesù «viene a nobilitare gli esclusi e si rivela anzitutto a loro: non a personaggi colti e importanti, ma a gente povera che lavorava». “Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro - spiega Francesco -. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro». «Nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! - è quindi il suo appello - E impegniamoci per questo». Il richiamo finale del Papa è così quello a un ritorno all’essenziale. «Torniamo a Betlemme, torniamo alle origini - esorta -: all’essenzialità della fede, al primo amore, all’adorazione e alla carità». «Dio ci conceda di essere una Chiesa adoratrice, povera e fraterna - conclude -. Questo è l’essenziale. Torniamo a Betlemme».