Che si svolgano già il mese prossimo resta incerto nonostante il pressing della comunità internazionale ribadito pochi giorni fa dalla Conferenza di Parigi. Ma ora è sicuro che alle elezioni presidenziali libiche, che al momento restano fissate al 24 dicembre, si è candidato un personaggio tanto noto quanto controverso: Saif Al-Islam, il secondogenito e abortito delfino del rais Muammar Gheddafi, che si mette in lizza nonostante sia ancora ricercato dall’Aja per crimini contro l’umanità perpetrati sotto il regime del padre. Dopo aver scampato qualche anno fa la condanna a morte nel suo Paese.
Indossa il costume beduino e il turbante come il padre
Come aveva lasciato intendere in un’intervista a luglio, il 49enne Saif si è presentato in un ufficio della Commissione elettorale di Sebha, nel sud dove avrebbe maggiori consensi: con una barba brizzolata, occhiali e soprattutto un costume beduino marrone ed il turbante - abiti con cui era solito apparire il padre - ha firmato i documenti necessari facendosi riprendere in un video. In ossequio al suo nome che significa «spada dell’Islam», ha pronunciato versetti coranici e invocato la benedizione dei funzionari presenti prima di tornare nell’ombra, dove è vissuto per anni. Secondo degli otto figli del rais e primogenito della sua seconda moglie, Safiya, allo scoppio della guerra civile libica del 2011 Seif si era schierato con il padre diventando uno dei due portavoce del governo. Nonostante una richiesta della Corte penale internazionale di processarlo per crimini contro l’umanità ancora valida, e la sanguinosa repressione di proteste, fu detenuto ma anche protetto a Zintan da milizie libiche che lo avevano catturato: un processo in contumacia celebrato a Tripoli si concluse nel luglio 2015 con una vana condanna alla pena di morte per genocidio. L’anno dopo Saif fu scarcerato grazie ad un’amnistia e da allora ha vissuto da uomo libero in una località segreta libica, forse al confine con l’Egitto.
I nostalgici del rais oscillano tra il 50-70%
Secondo le stime di un analista, accreditate da Al Arabiya, i nostalgici di Gheddafi e i delusi dagli attuali esponenti politici più in vista sarebbero il 50-70% dei libici. Un bacino in cui Saif potrebbe cercare il consenso anche se sono forti le resistenze a un suo ritorno al potere per via dell’eredità di odi e rancori legati al padre, soprattutto negli ambienti della Fratellanza musulmana influente in Tripolitania. Per la comunità internazionale lo svolgimento delle elezioni è essenziale per pacificare il Paese, che ha le riserve di petrolio più abbondanti dell’Africa ed è il porto da cui salpano i migranti verso l’Europa, Italia in primis. Le elezioni presidenziali - le prime nella storia del Paese - e quelle legislative restano tuttavia molto incerte in un contesto di tensioni tra le fazioni rivali, insediate a Ovest e a Est: gli appigli per far saltare la tornata saltare sono molti, tra cui il fatto che la legge elettorale non sia stata approvata dal parlamento e, 40 giorni dalla data-obbiettivo del 24 dicembre, le candidature sono solo due (quella appunto di Saif al Islam e di un illustre sconosciuto, il manager Abdel Hakim Bayou). Il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est, sarebbe pronto da settimane a scendere in campo e per ridurre gli ostacoli a una sua candidatura si è autosospeso dalle funzioni militari. Ma almeno secondo due noti analisti, Wolfram Lacher del Swp di Berlino e Jalel Harchaoui di Global Initiative, la candidatura di Gheddafi jr porterà solo ulteriore incertezza nel processo elettorale.