Un ordigno scuote il potere talebano a Kabul: è di diversi morti e feriti il bilancio di un attentato compiuto nel giorno in cui i nuovi padroni della capitale hanno celebrato la vittoria e che ha preso di mira i funerali della madre del portavoce, Zabihullah Mujaid. Immediata la reazione talebana, che secondo i media locali quando il buio era già calato sulla capitale hanno «compiuto un blitz contro un covo dell’Isis a Kabul». L’operazione, condotta nel distretto 17 della capitale, si è conclusa con «l'uccisione di combattenti» dell’organizzazione terroristica. La bomba, secondo le informazioni disponibili, è esplosa all’ingresso della moschea Eid Gah, la seconda della capitale afghana a poca distanza dal Palazzo Presidenziale e dal ministero della Difesa, mentre i fedeli si recavano alla cerimonia funebre. Il corrispondente di al Jazeera ha riferito di un bilancio provvisorio di almeno 12 morti e 32 feriti, tutti civili. Indice puntato contro il ramo afghano dell’Isis, l’Isis Khorasan, che tuttavia non ha rivendicato l’azione. Nell’area della moschea «è scoppiato il panico», riferiscono i testimoni. Diverse persone con gli abiti imbrattati di sangue sono state viste dirigersi verso l’ospedale di Emergency, che conferma di avere in cura alcuni feriti. Poche ore prima, oltre 1.500 sostenitori del nuovo regime, tutti maschi, avevano partecipato al «giorno della vittoria», organizzato dai Talebani nella cittadina di Kohdaman, sulle colline che sovrastano la periferia della capitale. Molti i dirigenti di alto livello presenti, tra questi ha spiccato l'intervento di Khalil Haqqani, ministro e uomo forte del nuovo governo, soprattutto fratello di Jalaluddin, fondatore della temibile e omonima Rete Haqqani, decisiva nell’odierno scacchiere afghano. «Questo è il giorno che aspettavamo», ha detto Haqqani, ricercato in Usa con una taglia da 5 milioni di dollari sulla testa. Col fucile poggiato sul leggio ha poi incitato i sostenitori a «proteggere» i risultati ottenuti sino a oggi. «Invito il mondo a lasciare l’Afghanistan all’Afghanistan», ha poi ammonito, attorniato da soldati in tenuta da combattimento, mentre gli altri ascoltavano seduti sulle sedie sotto alle tende. Non sono mancate le celebrazioni dei gesti più estremi, un oratore ha affermato che la vittoria è arrivata anche grazie «ai tanti giovani che si sono messi in fila e in lista per diventare attentatori suicidi». Nessuno ha rivendicato l’attacco alla moschea, ma quel che appare certo per modalità e tempistica è l’obiettivo: dimostrare che i Talebani non sono affatto padroni assoluti a Kabul. Non ancora almeno. E la bomba di oggi è solo l’ultima scia di sangue, in ordine di tempo, nel Paese: solo ieri sera un altro attacco a Jalalabad aveva ucciso quattro persone, tra cui due civili. Intanto, emergono nuovi dettagli sulla vittoria del 15 agosto: i militari fedeli all’ex governo denunciano in una inchiesta di El Pais, di «essere stati venduti», e confermano le voci già circolate su veri e propria accordi sottoscritti tra i Talebani, gli alti ufficiali dell’Esercito e diversi «Signori della guerra», gli stessi a cui era stata affidata la «forza di resistenza popolare», creata negli ultimi giorni di potere del governo Ghani. «Il nostro morale quando gli Stati Uniti hanno annunciato la loro partenza, è crollato ai minimi» e «si cominciò a combattere sempre meno», ha ammesso un ex colonnello. «Alcuni funzionari della guardia presidenziale avevano già trattato con i Talebani, che avevano acconsentito che in cambio della consegna delle armi e della resa non ci avrebbero ucciso. Come soldati, eseguivamo solo degli ordini».