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Il Papa in Slovacchia: "La croce non si riduca a simbolo politico"

«Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale». Così il Papa nel rito bizantino a Presov. «Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca - ha detto -. Ma non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue piaghe aperte per noi, se il cuore non si gonfia di commozione e non piangiamo davanti al Dio ferito d’amore per noi. Se non facciamo così, la croce rimane un libro non letto, di cui si conoscono bene il titolo e l’autore, ma che non incide nella vita».

Secondo il Papa, nei nostri tempi «qui, grazie a Dio, non c'è chi perseguita i cristiani come in troppe altre parti del mondo», ha detto nell’omelia a Presov. «Ma la testimonianza può essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità - ha avvertito -. La croce esige invece una testimonianza limpida. Perché la croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere». «Quale modo? - ha chiesto il Pontefice - Quello del Vangelo, quello delle Beatitudini. Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita». «Il testimone della croce - ha proseguito - non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Il testimone della croce non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri». «Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto - ha aggiunto -: questa sarebbe una religione della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso».

Secondo Francesco, «il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile. Non attende trionfi quaggiù, perché sa che l’amore di Cristo è fecondo nella quotidianità e fa nuove tutte le cose ma dal di dentro, come seme caduto in terra, che muore e produce frutto».

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