Vittoria netta in Inghilterra, arrocco riuscito in Scozia e Galles. Boris Johnson porta a casa il migliore dei risultati possibili o quasi per il suo Partito Conservatore nella più vasta tornata elettorale locale mai convocata in Gran Bretagna, la prima dopo la definitiva entrata in vigore della Brexit e dopo il tragico terremoto della pandemia da Covid. Ma lo scontro su un secondo referendum scozzese non è affatto chiuso.
Archiviati i primi risultati più che positivi per la parrocchia Tory, la giornata di ieri ha suggellato l’esito della partita sul cruciale responso scozzese: con il sonante quarto trionfo consecutivo incamerato dai veri avversari del momento, gli indipendentisti dello Scottish National Party (Snp) di Nicola Sturgeon, ma senza la simbolica bandiera di quell'inafferrabile maggioranza assoluta al Parlamento di Edimburgo cui la lady di ferro del nord anelava per dare maggior forza alla pretesa d’un referendum bis sulla secessione finora respinta categoricamente dal governo centrale di Londra. Non che il braccio di ferro sia da considerare concluso, vista l'avanzata comunque impressionante dell’Snp al di là del Vallo di Adriano destinata a lasciare saldamente in mano a Sturgeon le redini del governo locale della nazione con i colori della Croce di Sant'Andrea: se non altro grazie all’alleanza con i Verdi scozzesi, pure da tempo favorevoli a una rivincita referendaria.
Ma certo per Johnson c'è da tirare ben più che un sospiro di sollievo a dispetto di mesi di polemiche e di sospetti scandali alimentati dagli avversari esterni e interni. In un quadro nel quale il suo partito si rafforza ulteriormente nell’Inghilterra profonda, territorio 10 volte più popoloso di qualunque altra terra del Regno, e non arretra da nessuna parte; mentre il Labour di Keir Starmer porta a casa nel complesso un bottino desolante, peggiore di quello raccolto 5 anni fa dal deprecato socialista «radicale» Jeremy Corbyn. In Scozia - dove come in Galles hanno votato pure i 16enni - l'esito delle urne, arrivato a rilento a 48 ore dalla chiusura delle urne a causa delle precauzioni Covid e anticipato dalle proiezioni della Bbc, vede l’Snp aggiudicarsi 63 seggi come nel 2016: due in meno dell’agognato 50% più uno.
Anche per colpa di un sistema elettorale corretto dal recupero del voto di lista dopo che nei collegi elettorali i secessionisti avevano fatto quasi filotto. E se Sturgeon esulta nella convinzione di disporre «senza alcun dubbio di una maggioranza pro indipendenza» a Edimburgo (vista l’impennata degli alleati Verdi locali a 9 seggi), invocando a questo punto il via libera al referendum come un obbligo democratico, il suo trionfo non è totale.
Tanto più che i Conservatori scozzesi si confermano secondo partito con 31 deputati, difendendo lo storico sorpasso di 5 anni fa su un Labour che cala ancora da 24 a 22 seggi. Ad incoraggiare BoJo a tenere il punto sul no a un secondo referendum, dopo quello perduto dagli indipendentisti nel 2014, pesa del resto non solo la consapevolezza della leva costituzionale a sua disposizione - a dispetto dei richiami dell’Snp ad un ipotetico ricorso da ultima spiaggia alle corti di giustizia -, ma anche lo scenario politico complessivo del Regno.
Dove il partito di governo incassa 250 seggi in più nei consigli locali inglesi, strappando diverse amministrazioni al Labour dopo aver espugnato per la prima volta da mezzo secolo l'unico collegio elettorale nazionale vacante della Camera dei Comuni, quello di Hartlepool. Mentre i laburisti di Starmer ne perdono 300 e i Liberaldemocratici europeisti indietreggiano ancor di più ai margini. Al Labour, intanto, più che rilanciare la sfida a Boris non resta che leccarsi di nuovo le ferite in un clima nel quale le faide interne fra correnti, fra sinistra militante e moderati di establishment, stanno già riesplodendo.
Un clima alleggerito solo dal successo in Galles con i 30 seggi su 60 conquistati nel Parlamento di Cardiff (Senedd) che consentono al 66enne Mark Drakeford, uomo della sinistra interna più vicino a Corbyn che a Starmer, di restare first minister locale; o dalla scontata conferma al primo turno alla guida delle grandi aree urbane 'rossè - Liverpool e Manchester in testa - di figure popolari come Steve Rotheram o Andy Burnham. Ma che persino a Londra non permette di festeggiare la prevista rielezione di Sadiq Khan, costretto a sorpresa al ballottaggio delle 'seconde preferenzè di fronte al bottino superiore a qualunque sondaggio della vigilia raccolto da Shaun Bailey: l’outsider messo in campo da BoJo, primo candidato nero Tory al timone della capitale.
(ANSA)
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