La variante brasiliana è più contagiosa ed è in grado di eludere l’immunità. E’ quanto emerso da uno studio condotto da ricercatori brasiliani, inglesi e dell’Università di Copenaghen. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science.
Anche se in tutto il mondo vengono somministrati sempre più vaccini contro Sars-CoV-2, molti paesi sono ancora alle prese con focolai e hanno grandi difficoltà nell’offrire aiuto a chi ne ha bisogno. Uno di questi paesi è il Brasile, dove stanno affrontando un’enorme seconda ondata, molte morti e il collasso del sistema sanitario. Nella città di Manaus le cose sembrano eccezionalmente cupe da dicembre. La città è stata colpita così duramente dalla prima ondata nel 2020 che in realtà si pensava fosse uno dei pochi posti al mondo ad aver raggiunto l’immunità di gregge. Si stima che circa il 75 per cento della popolazione della città sia stata infettata. Ma poi la seconda ondata ha colpito a novembre e dicembre. Ora il nuovo studio potrebbe aver fatto luce sul motivo per cui Manaus sta affrontando di nuovo queste difficoltà.
«La nostra spiegazione principale è che esiste una variante aggressiva del coronavirus chiamata P.1 che sembra essere la causa dei loro problemi», afferma Samir Bhatt dell’Università di Copenaghen, autore dello studio. «Il nostro modello epidemiologico indica che è probabile che P.1 sia più trasmissibile rispetto ai precedenti ceppi di coronavirus e che sia in grado di eludere l’immunità ottenuta dall’infezione con altri ceppi», aggiunge.
Per caratterizzare la variante brasiliana i ricercatori hanno utilizzato molti tipi di dati raccolti a Manaus, inclusi 184 campioni di dati di sequenziamento genetico. Gli studiosi hanno così scoperto che geneticamente P.1 è diverso dai precedenti ceppi di coronavirus. Ha acquisito 17 mutazioni tra cui un importante trio di mutazioni nella proteina spike (K417T, E484K e N501Y). «La nostra analisi - spiega Bhatt - mostra che P.1 è emerso a Manaus intorno a novembre 2020. E’ passato da non essere rilevabile nei nostri campioni genetici a rappresentare l’87 per cento dei campioni positivi in sole sette settimane. Da allora si è diffuso in molti altri stati del Brasile e in molti altri paesi in tutto il mondo».
I ricercatori hanno, quindi, utilizzato un modello epidemiologico per stimare quanto possa essere trasmissibile P.1 e per capire se ci sono segni di elusione dell’immunità acquisita da una precedente infezione. Questo modello ha consentito ai ricercatori di concludere che è probabile che P.1 sia tra 1,7 e 2,4 volte più trasmissibile rispetto alle altre varianti. Inoltre, gli studiosi hanno concluso che è probabile che P.1 sia in grado di eludere tra il 10 e il 46 per cento dell’immunità acquisita dall’infezione con altri ceppi di coronavirus.
«I nostri risultati sottolineano il fatto che in molti paesi è necessaria una maggiore sorveglianza delle infezioni e dei diversi ceppi del virus per tenere completamente sotto controllo la pandemia», evidenzia Samir Bhatt. (
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