Venerdì 27 Dicembre 2024

Variante indiana del Coronavirus, sintomi ed efficacia dei vaccini: cosa sappiamo

È caratterizzata da una duplice mutazione della proteina Spike la cosiddetta variante indiana del virus SarsCov2 che, dilagante in India, è stata ora segnalata anche in Svizzera oltre che in Italia, con i due casi a Bassano. E proprio questa particolare 'mutazione tandem' sarebbe alla base di una sua maggiore trasmissibilità, anche se gli studi sono in corso e manca ancora una conferma definitiva. A spiegarlo è Massimo Ciccozzi, ordinario di statistica medica ed epidemiologia molecolare all’Università Campus Bio-Medico di Roma. La variante B.1.671 è stata segnalata per la prima volta lo scorso ottobre nello stato di Maharashtra in India: «Attualmente si sta diffondendo velocemente nel paese asiatico ma è ormai giunta anche in Europa. In Gran Bretagna - afferma Ciccozzi - sono circa 80 i casi rilevati». Si tratta, chiarisce, di una variante con una particolare caratteristica: «Presenta due mutazione della proteina Spike, che è quella distintiva del virus SarsCov2. Sono le mutazioni indicate come L452R e E484Q. Attualmente stiamo conducendo uno studio su tale variante e la nostra ipotesi è che le due mutazioni lavorino 'in coppia' ed una rende più forte l’altra, con il risultato di rendere la variante più trasmissibile». In pratica, spiega l’esperto, «la mutazione L452R si comporta come se fosse un interruttore che accende la seconda mutazione E484Q. Quest’ultima ha acquisto un nuovo aminoacido Q che le permette di entrare meglio nelle cellule e di infettarle. Questo perché, in virtù di tale aminoacido, riesce a 'fondere' meglio le membrane cellulari. In questo modo, la variante 'indiana' riuscirebbe, secondo la nostra ipotesi, a trasmettersi maggiormente e più velocemente rispetto al virus originale». La sua maggiore trasmissibilità, afferma Ciccozzi, «sembrerebbe confermata dal veloce aumento di casi in India, mentre è per ora contenuta la sua presenza in Europa». L’ipotesi di una maggiore trasmissibilità, sottolinea, «accresce la preoccupazione, mentre si sta valutando anche la risposta ai vaccini. Dai primi dati, emergerebbe una lieve minore efficacia dei vaccini disponibili su questa variante». Infatti, precisa, «sembrerebbe diminuire leggermente la risposta degli anticorpi neutralizzanti stimolati dalla vaccinazione, ma non dei linfociti T. Questa - commenta - è comunque una buona notizia perché indicherebbe una certa efficacia dei vaccini in uso». Ad ogni modo, avverte l’esperto, «la massima cautela è d’obbligo ed è fondamentale potenziare il monitoraggio ed il sequenziamento dei genomi dei casi positivi, in una percentuale di almeno il 10%, per rilevare tempestivamente la presenza di questa e altre varianti». Se a vaccinarsi sono «solo i Paesi occidentali - conclude Ciccozzi - il problema non verrà risolto e saremo sempre allo stesso punto, perché dall’estero arriveranno nuove varianti contro le quali i nostri vaccini non sono ancora 'tarati' e si innescherà una 'rincorsa alla variante' molto pericolosa».

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