Una veterinaria 27enne violentata e poi bruciata; una 23enne data alle fiamme mentre era diretta verso il tribunale per testimoniare contro i suoi aguzzini. Sono solo gli ultimi terribili casi di violenza sulle donne in India, un Paese che per questa piaga detiene la maglia nera nel mondo. I numeri del governo sono agghiaccianti: la polizia ha registrato 33.658 casi di stupro al giorno nel 2017, una media di 92 ogni ventiquattr'ore (ma gli esperti ritengono che molti casi non vengono denunciati).
Secondo le statistiche, in India un giovane di meno di 16 anni viene stuprato ogni 155 minuti e un bambino di 10 anni ogni 13 ore. Il numero di stupri ai danni di minorenni è notevolmente aumentato, passato da 8.541 nel 2012 a 19.765 nel 2016. Più in generale, i reati sessuali in India sono passati dai 2.487 casi del 1971 ai 24.206 casi del 2011. Circa il 53% dei bambini che hanno partecipato ad uno studio governativo hanno riferito di aver subito abusi sessuali; il 50% degli aggressori sono persone conosciute nelle quali hanno fiducia e che dovrebbero proteggerli. Inoltre 240 milioni di donne vengono sposate prima del 18esimo compleanno.
In una società gerarchica, patriarcale e sempre più polarizzata, lo stupro viene usato speso per affermare il potere. Ma l’India è anche il Paese con un pesante squilibro del rapporto maschio/femmina (in gran parte dovuto agli aborti illegali per la selezione del sesso) e questo vuol dire che è un Paese pieno di uomini (la media è di 112 bimbi nati per ogni 100 ragazze, quando il rapporto naturale è 105 contro 100). Nel Parlamento indiano, una deputata, Jaya Bachchan, un passato da attrice, ha proposto che i colpevoli siano «linciati in pubblico».
La lista dei casi più eclatanti è un un catalogo degli orrori. Di seguito solo alcuni. Nel giugno 2011 una ragazzina di 14 anni fu prima stuprata e poi impiccata in un commissariato di polizia a Nighasan nello Stato dell’Uttar. A metà gennaio 2012 un’altra bambina di sette anni fu stuprata nel bagno della sua scuola a Vasco, nello Stato meridionale di Goa. A febbraio vennero alla luce i casi di sevizie subite da una bimba di soli sei mesi a Mumbai. Ad aprile fu trovato in una discarica a New Delhi il corpo di una bimba di 5 anni violentata e strangolata.
Nel Kashmir amministrato dall’India, nel gennaio 2017 una ragazzina nomade musulmana di 8 anni, fu rapita tenuta prigioniera in un tempio indù, violentata ripetutamente e scaricata in una foresta: era un avvertimento ai ragazzini nomadi musulmani che pascolano i loro animali in terre di proprietà indù.
Nel dicembre 2018, fu stuprata una bimba di tre anni a Bindapur, nella capitale Delhi: il responsabile era probabilmente un 40enne, agente di sicurezza, che lavorava nel palazzo dove la bambina risiedeva con la sua famiglia. I genitori della piccola vittima erano fuori casa al momento dell’aggressione. Nel luglio 2017 la Corte Suprema indiana ha esaminato il ricorso di una bambina di 10 anni stuprata ripetutamente nel corso degli anni dallo zio: rimasta incinta, aveva chiesto di poter abortire. In India l’aborto è consentito fino alla 20esima settimana (la piccola era invece alla 30esima settimana) a meno che, secondo i medici, la vita della madre non sia in pericolo.
Ma il caso più eclatante, con maggiore risonanza internazionale e rimasto probabilmente nell’immaginario collettivo fu quello accaduto nel dicembre 2016. Nell’ospedale di Singapore dove era stata trasferita, morì una giovane indiana di 23 anni stuprata, due settimana prima, il 16 dicembre a bordo di un autobus a New Delhi da sei uomini. Fu chiamata 'Amanat' (leale, fedele) - nome di fantasia usato dai media insieme a Damini (titolo di un vecchio film in cui la protagonista si batte per ottenere giustizia per una vittima di stupro) e Nirbhaya ("coraggiosa"): era stata operata per ben tre volte ma era uscita così malconcia dalle violenze che dopo un’agonia durata 13 giorni si era arresa. (AGI)
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