Giovedì 19 Dicembre 2024

Brexit, Johnson sconfitto: no alle elezioni anticipate

L’appello «al popolo» dopo la sconfitta in Parlamento. Boris Johnson non si arrende alla maggioranza dei Comuni che gli intima di chiedere un nuovo rinvio della Brexit e risponde all’approvazione della cosiddetta legge anti-no deal lanciando la sfida delle elezioni anticipate, indicando l’obiettivo di convocare le urne per il 15 ottobre. Un obiettivo che la Camera per ora respinge, bocciando senza sorprese in serata la mozione-manifesto presentata dal premier per l’auto-scioglimento (sarebbe stato necessario un quorum dei due terzi) sullo sfondo d’un muro contro muro dalle conseguenze a questo punto imprevedibili: con le opposizioni decise a non farsi dettare i tempi e a spostare più in là, forse a novembre, l'incerta resa dei conti elettorale. Il testo della norma anti-no deal concepito trasversalmente dai contestatori per provare a fermare la corsa del Regno verso una potenziale hard Brexit ha viceversa avuto il via libera della Camera bassa. Con uno scarto finale - 327 sì contro 299 no - quasi identico a quello della prima batosta assestata ieri al nuovo esecutivo grazie anche al voto di 21 conservatori moderati di spicco (frattanto espulsi). Un risultato che certifica lo sgretolamento della maggioranza di governo, ma a cui il premier Tory mostra di non avere alcuna intenzione di rassegnarsi. Lo ha confermato nel suo primo Question Time da inquilino (per ora precario) di Downing Street ribadendo a brutto muso di non pensare minimamente di farsi teleguidare da un Parlamento che pretenderebbe di mandarlo a Canossa fra un mese, dai 27 di Bruxelles, per piegarsi a quella proroga ulteriore che egli continua viceversa a rigettare come «priva di senso». E di non vedere a questo punto altra strada se non quella del voto politico «martedì 15 ottobre». Non senza denunciare la legge contro il no deal, definita «una resa», è come un tentativo di «far naufragare qualunque serio negoziato» per ottenere dall’Ue un’intesa sulla Brexit «senza backstop» (obiettivo su cui del resto Bruxelles si conferma scettica). E di fatto per tradire la volontà popolare del referendum 2016. Il tono d’altronde non è più quello dell’istrione dalla battuta leggera. Semmai del pretendente leader muscolare. Come conferma il botta e risposta in aula in cui il successore di Theresa May non ha esitato a far sfoggio di machismo, tirandosi critiche in serie, per l’uso di epiteti tipo «femminuccia» o "pollastro al cloro» rivolti in particolare verso il capo dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn: accusato in slang di essere addirittura «terrorizzato» ("frit") dal voto, sull'onda di sondaggi che in caso di elezioni immediate sembrano in effetti poter premiare la causa Tory. A maggior ragione con l'aiutino della promessa di nuove spese pubbliche a pioggia, e annessa «fine dell’austerity», appena annunciata nella revisione del bilancio 2019 dal cancelliere dello Scacchiere, Sajid Javid. La replica è stata più misurata, non meno dura. Il premier, ha reagito sarcastico Corbyn, non può accusarci di «sabotare un negoziato con l’Ue che non esiste». E deve garantire il rispetto della nuova legge (dopo il passaggio alla Camera dei Lord e la firma della regina, o Royal Assent, entro la settimana prossima) prima di avere l’ok sul voto. Di qui il no alla mozione di stasera sulle elezioni, condiviso per ora con i leader degli altri partiti di opposizione (dagli indipendentisti scozzesi dell’Snp ai LibDem), liquidata come «la mossa cinica di un primo ministro cinico». In sostanza l’obiettivo degli oppositori pare al momento quello di provare a tenere il governo a bagnomaria e allontanare le urne a non prima di novembre. Anche se non è chiaro come si possa pensare di costringere un premier che ripete di voler portare il Regno fuori dall’Ue il 31 ottobre 'senza se e senza ma' a negoziare per legge un rinvio della Brexit. Tanto più sullo sfondo dell’incoraggiamento che a Boris - nella cui manica potrebbe esserci ancora qualche carta di riserva per tentare di arrivare al voto a breve - rimbalza dalla Bank of England (col ridimensionamento dei timori sugli scenari peggiori d’un eventuale no deal). Dell’assoluzione incassata in un primo tribunale, l’Alta corte di Scozia, sulla legittimità della contestatissima sospensione del Parlamento destinata ad andare in scena fra una settimana come che sia. (ANSA)

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