Domenica 17 Novembre 2024

Brexit, il Parlamento inglese boccia il no deal: nuova sconfitta per la May

Dopo lo strappo, il caos diventa totale. Il Parlamento britannico prova ad allontanare lo spettro di una traumatica Brexit no deal - all’indomani della seconda, sonora bocciatura dell’intesa di divorzio negoziato faticosamente dalla premier Theresa May con Bruxelles - votando a maggioranza una mozione emendata in modo radicale su cui il governo incassa un’altra sconfitta cocente e che tuttavia da sola potrebbe non bastare a cancellare l’incubo: in assenza della ratifica positiva di un qualunque accordo o almeno di un rinvio del passo d’addio rispetto alla data del 29 marzo. Rinvio su cui l’aula si esprimerà, ma che l’Ue ammonisce di non essere disposta a concedere come una cambiale in bianco. La mozione approvata ieri sera con 321 voti contro 278 resta dunque al momento una manifestazione di volontà politica. Oltre che una sfida aperta all’esecutivo e il segno del tentativo di Westminster d’imporre una svolta con piani di Brexit diversi. Una sfida a cui il governo reagisce annunciando una nuova mozione che dovrebbe spingere i deputati a scegliere fra il via libera a un accordo sulla Brexit entro mercoledì prossimo, seguito dalla richiesta all’Ue di un rinvio tecnico limitato al 30 giugno per l’approvazione della legislazione connessa, e quella di un rinvio a più lungo termine che obbligherebbe fra l'altro il Regno a partecipare alle elezioni europee di maggio. Alla premier non è bastato lasciare libertà di scelta al suo governo e al suo partito sulla questione 'no deal sì-no deal no'. Né limitarsi a esprimere a titolo personale la sua posizione contraria in linea di principio all’epilogo più brusco. La situazione le è sfuggita di mano in seguito all’approvazione di un emendamento promosso trasversalmente da deputati Tory moderati e laburisti per forzarle la mano ed escludere un divorzio hard in alcuna circostanza e in qualsiasi momento. Emendamento non sostenibile per l’esecutivo di fronte all’Ue, tenuto conto che il 'no deal' - come May ha ribadito subito dopo il voto - resta un esito di default in mancanza di un accordo di divorzio ratificato o di un rinvio. Di qui il braccio di ferro, destinato ora a riflettersi nella partita di domani sui termini, le condizioni e la durata del rinvio. Il risultato, in ogni modo, è che si è tornati alla casella uno. Con la necessità d’indicare una soluzione possibile sullo sfondo del muro contro muro fra la premier e gli oppositori. Il leader laburista Jeremy Corbyn ha invocato da parte sua il passaggio del «controllo al Parlamento». Ma May resta orientata come se nulla fosse a riproporre la sua linea come unica base d’intesa, escludendo non solo un ipotetico referendum bis o una revoca dell’articolo 50 che «sarebbe un tradimento della volontà popolare» espressa nel 2016, ma anche un dialogo sul piano B corbyniano per una Brexit più soft con permanenza del Regno nell’unione doganale o su altre alternative. Alternative in mancanza delle quali - come ripete solennemente dall’Europarlamento il capo negoziatore europeo Michel Barnier - quel no deal buttato fuori dalla porta della Camera dei Comuni non potrà che rientrare dalla finestra. E rischia anzi di essere «più vicino che mai». Tanto vicino da indurre Paesi e istituzioni dell’intero continente ad allacciarsi le cinture. L’assemblea di Strasburgo squaderna una piano d’emergenza che punta a mettere al riparo prima di tutto gli studenti in Erasmus, i trasporti aerei, stradali e ferroviari, la pesca, le tutele sociali. O almeno a minimizzare i danni potenziali. Mentre il governo italiano fa sapere di seguire gli sviluppi giorno per giorno e di essere al lavoro per predisporre nuove misure nel caso di una Brexit hard: scenario al centro anche del tradizionale pranzo di lavoro al Quirinale in vista del prossimo Consiglio europeo. Fra gli Stati più esposti e più allarmati spiccano l’Irlanda e la Germania. Anche se il contraccolpo più pericoloso (descritto come una potenziale «martellata sull'economia» dalla Confindustria del Regno) continua a incombere ovviamente sulla Gran Bretagna medesima. Tanto spaventata - alle luce anche della clamorosa revisione al ribasso da parte del cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond delle stime di crescita del Pil per il 2019 dal 1,6 all’1,4% - da annunciare fin d’ora unilateralmente un regime senza dazi su oltre l’80% dei prodotti importati dall’Ue (e dal resto del mondo) anche nell’eventualità del no deal. Sperando che la misura possa essere reciproca e che possa bastare, se non altro, a limitare i guai.

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