La Cina «si oppone con forza all’insistenza del Canada di procedere con la cosiddetta estradizione di Meng Wanzhou e ha presentato protesta formale». In una nota, il ministero degli Esteri risponde alla mossa del Ministero della Giustizia canadese che ieri ha dato l’ok perché proceda l’iter di estradizione in Usa di Meng, direttrice finanziaria di Huawei accusata di aver eluso le sanzioni americane all’Iran. «È un grave incidente politico. Sollecitiamo ancora gli Usa a ritirare la richiesta di estradizione e chiediamo al Canada il suo rilascio immediato».
In una nota, il ministero della Giustizia canadese ha precisato ieri che i funzionari competenti avevano condotto una «accurata e diligente revisione delle prove» e determinato che vi erano sufficienti elementi per presentare il caso dinanzi a un giudice per l’estradizione.
Meng tornerà in tribunale il 6 marzo per un esame nel merito della vicenda. Se le prove saranno considerate congrue ci sarà l'estradizione su cui il ministro della Giustizia si troverà ad avere l’ultima parola. Il giudice William Ehrcke della Corte Suprema della British Columbia autorizzò il rilascio di Lady Huawei, dopo l’arresto del primo dicembre a Vancouver su richiesta Usa, grazie alla cauzione di 7,5 milioni di dollari.
Su Meng e Huawei pendono più di una ventina di contestazioni formulate dal dipartimento di Giustizia Usa a gennaio. Ren Zhengfei, fondatore di Huawei e padre di Meng, ha nelle ultimissime (e pur sempre rare) interviste ha inasprito i toni sul caso, definendo il 20 febbraio ai microfoni della Cbs l'arresto della manager come «motivato politicamente».
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