Il monito di Vladimir Putin non poteva essere più chiaro, ed è arrivato all’inizio della tradizionale conferenza stampa di fine anno - come sempre più simile a un concerto rock che a un evento politico. «Il mondo - ha avvertito lo zar - sta sottovalutando il rischio di una guerra nucleare». Parole pesanti, naturalmente legate (in parte) alla decisione degli Usa di uscire dal trattato Inf sulle armi atomiche a gittata intermedia. Ma non solo. Putin, al di là delle accuse incrociate su chi-viola-cosa, ha calcato l’accento sull'atmosfera generale, come se l’incubo nucleare facesse ormai parte di un’altra epoca. E per il presidente russo non è così. L’affondo è arrivato poco dopo il breve sunto sul quadro economico della Russia nel 2018 (Pil a +1,7%, inflazione leggermente sopra il target del 4%, produzione industriale in crescita). Davanti a lui gli oltre 1700 giornalisti accreditati, molti muniti con cartelli e orpelli vari d’ordinanza, trucchi consolidati per attirare l’attenzione dello zar. I pericoli, secondo Putin, vengono dallo «sfacelo» del sistema di deterrenza internazionale sin qui garantito dall’equilibrio strategico. La Russia, nella lettura dell’uomo forte del Cremlino, ha sviluppato sì nuove armi - «in futuro le avranno tutti, ma per ora ce le abbiamo solo noi» - eppure lo ha fatto solo per assicurare il rispetto appunto dell’equilibrio strategico, minato dallo scudo missilistico Usa. Che Mosca «sa bene» essere collegato agli «apparati offensivi» americani. Inoltre ora si aggira lo spettro delle armi nucleari «tattiche», ovvero a ridotto potenziale, che qualcuno vorrebbe impiegare davvero. «Questo potrebbe portare a una catastrofe globale che metterebbe fine alla civiltà e forse al pianeta». Insomma, l’apocalisse. Putin ha poi smorzato i toni dicendosi sicuro che «l'umanità avrà abbastanza buon senso» per evitare il peggio, ma ha avvertito una volta di più che se arriveranno i missili in Europa poi l’Occidente non «squittisca» se la Russia reagirà. Mosca, infatti, non «aspira a dominare il mondo» ma solo al suo naturale sviluppo di «nazione pari alle altre nazioni». «È un cliché - sostiene - propinato all’opinione pubblica occidentale perché la Nato ha bisogno di un nemico per 'fare quadratò e questo nemico è la Russia». I temi toccati dal presidente non si sono limitati ovviamente alla politica estera e nelle quasi quattro ore di conferenza-fiume c'è stato spazio per parlare di tutto, dalle pensioni ai rapper scomodi (bandirli non serve, ha ripetuto), dal diritto dei russi di manifestare il loro dissenso ("nei limiti della legge», in vero molto stringente) ai prezzi della benzina ("noi abbiamo bloccato o ridotto l’aumento, in Francia hanno fatto l’opposto"). Putin, sul fronte interno, ha chiarito che la Russia ha bisogno di «una svolta», di compiere «un balzo tecnologico» per «agganciare questo secolo» e modernizzare la sua economia. Il piano approvato dal governo - e dunque dal Cremlino - va in questa direzione. Senza dimenticare la sfera sociale. Perché se è vero che il socialismo in Russia «non tornerà mai», è pur vero che «certi elementi» del sistema sovietico - rimpianti pare da 2/3 della popolazione - «hanno senso» e l’esecutivo non avrà remore a proseguire in questa direzione (specie nei campi del welfare e della sanità). Chiudendo il pacchetto politica estera lo zar si è detto d’accordo con Donald Trump sul fatto che l’Isis in Siria è stato sostanzialmente «sconfitto» ma ha anche chiarito di non vedere al momento segni chiari di «ritiro» del contingente militare Usa. Quindi gli auguri di fine anno: arrivederci al 2019.