Storica intesa in Grecia tra la potente chiesa ortodossa e il governo guidato da Alexis Tsipras: lo Stato continuerà a garantire lo stipendio di oltre 9.000 persone appartenenti al clero, in cambio di una «non opposizione» della Chiesa alla proposta di riforma che intende abolire l’Ortodossia come religione di stato, rendendo la Grecia 'neutrale' dal punto di vista religioso.
L’annuncio dell’accordo - che deve ancora essere ratificato dal Sacro Sinodo, organo decisionale della Chiesa ortodossa greca - è stato dato in un messaggio televisivo congiunto dello stesso Tsipras e dall’arcivescovo Ieronymos, capo della chiesa ellenica.
Proprio il premier ha parlato di accordo «storico» che apre la strada ad una riforma costituzionale, precisando che i preti ortodossi non saranno più considerati dipendenti pubblici, come avvenuto finora, ma che il loro stipendio proverrà da un fondo di sostegno pubblico alla Chiesa. Si tratta di circa 189 milioni di euro l’anno, scrive Kathimerini.
Stato e Chiesa collaboreranno inoltre per la gestione delle proprietà della Chiesa, dividendo i ricavi. Questa parte dell’intesa è particolarmente rilevante, perché potrebbe mettere fine ad un lungo contenzioso tra il demanio e la Chiesa proprio sulla questione dei profitti derivanti dai beni ecclesiastici (la Chiesa è considerata il primo proprietario terriero ed immobiliare del Paese).
«Questo accordo mostra la nostra intenzione di fare un passo avanti, nel segno del reciproco rispetto», ha affermato l'arcivescovo. Secondo un comunicato congiunto diffuso dopo l'annuncio, queste intese saranno la base per ulteriori discussioni: il governo e il Sacro Sinodo si incontreranno tra qualche tempo per ratificare le riforme concordate.
La notizia però ha suscitato proteste, sia tra le fila dei preti ortodossi che - di segno opposto - da parte di esponenti di Syriza. La Santa Associazione dei Preti Greci, una sorta di sindacato non riconosciuto dalla chiesa di Atene, ha detto che l'accordo è stato stretto senza consultarli e «alle nostre spalle» : «Ci sentiamo traditi», ha affermato ad Ant1 tv il vicepresidente dell’associazione, padre Giorgos Vamvakidis, sottolineando che i preti non vogliono rinunciare allo status di dipendenti pubblici, che offre maggiori garanzie salariali, sulla previdenza e pensioni. «Questo non è un accordo tra Chiesa e Stato, è un accordo tra due persone», ha attaccato, promettendo una «mobilitazione pacifica» contro l’intesa.
Ma voci critiche si levano anche all’interno del partito del premier, Syriza. L’ex ministro dell’Istruzione e degli Affari religiosi Nikos Filis ha detto, intervistato dal giornale To Pontiki, di non comprendere «come sia possibile che i preti non siano più dipendenti pubblici, ma che lo Stato continui a pagare i loro salari per l’eternità. Perché bisogna pagare tutti questi soldi, assicurando circa 10.000 posti di lavoro? Negli anni dei memorandum c'erano solo 8.000 medici nei nostri ospedali. La risposta è semplice: togliamo la chiesa dal libro paga dello stato e liberiamo 10.000 posti di lavoro nel settore pubblico».
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