Diventa ancora una volta un caso il salvataggio di migranti nel Mediterraneo. Ed oggi si evoca un'espressione - respingimento collettivo - che fa tornare al 2009, quando l'Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani. Protagonista il rimorchiatore italiano Asso Ventotto: ieri ha soccorso 101 persone (con 5 bambini e 5 donne incinte) e le ha portate a Tripoli. "E' vietato dalle norme, la Libia non è un porto sicuro", insorgono sinistra, ong e Unhcr. "Tutto regolare", replicano i ministri Salvini e Toninelli e la Guardia costiera: "l'intervento è stato gestito in autonomia dai libici". L'armatore conferma. La Commissione europea vuole però vederci chiaro ed ha chiesto informazioni al Governo. A sollevare la polemica è Nicola Fratoianni, che si trova sulla nave umanitaria Open Arms. Ieri, fa sapere, "abbiamo contattato il Centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma per segnalare due gommoni in difficoltà a nord di Sabratha, ma non ci hanno dato indicazioni. Abbiamo chiamato anche i libici e ci hanno detto che sarebbero intervenuti loro". A soccorrere uno dei gommoni è però Asso Ventotto, "su indicazione dei libici, hanno detto la prima volta, ma subito dopo si contraddicono e affermano: 'stiamo seguendo le indicazioni della piattaforma per cui lavoriamo'. Vale a dire dell'Eni". Fin qui Fratojanni. Poi c'è la versione del Governo. Prima Salvini sottolinea che la Guardia Costiera italiana "non ha coordinato e partecipato a nessuna" operazione. E dal comando di Roma aggiungono che le attività "si sono svolte sotto il coordinamento della Guardia costiera libica". Il ministro Toninelli conferma rilevando che "il diritto internazionale non è stato violato". L'Eni "smentisce qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, gestita dalla Guardia Costiera Libica". Arriva poi la ricostruzione dell'armatore, la Augusta Offshore, che precisa: la richiesta di soccorrere un gommone a circa 1,5 miglia dalla piattaforma "è arrivata dal Marine Department di Sabratah" e le attività "si sono svolte sotto il coordinamento della Coast Guard libica", con un rappresentante dell'autorità salito subito a bordo. Asso ha recuperato i migranti e si è diretta verso il porto di Tripoli, dove li ha trasferiti a bordo di un battello libico, senza proteste ed incidenti. E non è la prima volta che i rimorchiatori delle piattaforme salvano vite. Dal 2012 sono stati 23.750 i soccorsi. Fino al 2017 le operazioni sono state coordinate da Roma. Nel 2018 lo scenario cambia. Per effetto di due novità: la linea dura anti-sbarchi del Governo italiano con Salvini ed il riconoscimento della zona di ricerca e soccorso (Sar) della Libia. Significa che non è più come prima il Centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma a gestire le operazioni di soccorso in mezzo Mediterraneo. Nelle acque Sar libiche interviene infatti il Centro di Tripoli e la Guardia costiera italiana, tutte le volte che riceve segnalazioni, le invia all'organismo libico, autorità competente sulla propria zona Sar e che assume il coordinamento dei soccorsi. E' quello che è avvenuto ieri. Ma la Libia non è considerata porto sicuro e la Corte europea nel 2009 ha condannato l'Italia per aver riportato indietro migranti a bordo di navi militari. In quel caso però il salvataggio era avvenuto in acque internazionali. Per Marina Castellaneta, ordinario di diritto costituzionale a Bari, l'Italia rischia una condanna: "la nave è italiana, quindi lo Stato è responsabile come se fosse il suo territorio". Non è un caso se Salvini nelle ultime settimane ha chiesto più volte, ma invano, di riconoscere la Libia come porto sicuro. L'Unhcr vuole vederci chiaro: "stiamo raccogliendo tutte le informazioni necessarie sul caso. La Libia non è un porto sicuro e questo atto potrebbe comportare una violazione del diritto internazionale". Anche la Commissione europea ricorda che "la Libia non può essere considerata porto sicuro, viste le "diffuse e gravi violazioni dei diritti dei migranti, regolarmente sollevate dalle organizzazioni dei diritti umani, nazionali e internazionali. Siamo in contatto con gli italiani per saperne di più". Protesta il mondo delle ong, mentre il Garante dei detenuti esprime "forte preoccupazione" e chiede alle autorità competenti "ulteriori, ufficiali informazioni".