Giovedì 05 Dicembre 2024

Nave italiana riporta migranti in Libia, scoppia un nuovo caso

Diventa ancora una volta un caso il salvataggio di migranti nel Mediterraneo. Ed oggi si evoca un'espressione - respingimento collettivo - che fa tornare al 2009, quando l'Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani. Protagonista il rimorchiatore italiano Asso Ventotto: ieri ha soccorso 101 persone (con 5 bambini e 5 donne incinte) e le ha portate a Tripoli. "E' vietato dalle norme, la Libia non è un porto sicuro", insorgono sinistra, ong e Unhcr. "Tutto regolare", replicano i ministri Salvini e Toninelli e la Guardia costiera: "l'intervento è stato gestito in autonomia dai libici". L'armatore conferma. La Commissione europea vuole però vederci chiaro ed ha chiesto informazioni al Governo. A sollevare la polemica è Nicola Fratoianni, che si trova sulla nave umanitaria Open Arms. Ieri, fa sapere, "abbiamo contattato il Centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma per segnalare due gommoni in difficoltà a nord di Sabratha, ma non ci hanno dato indicazioni. Abbiamo chiamato anche i libici e ci hanno detto che sarebbero intervenuti loro". A soccorrere uno dei gommoni è però Asso Ventotto, "su indicazione dei libici, hanno detto la prima volta, ma subito dopo si contraddicono e affermano: 'stiamo seguendo le indicazioni della piattaforma per cui lavoriamo'. Vale a dire dell'Eni". Fin qui Fratojanni. Poi c'è la versione del Governo. Prima Salvini sottolinea che la Guardia Costiera italiana "non ha coordinato e partecipato a nessuna" operazione. E dal comando di Roma aggiungono che le attività "si sono svolte sotto il coordinamento della Guardia costiera libica". Il ministro Toninelli conferma rilevando che "il diritto internazionale non è stato violato". L'Eni "smentisce qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, gestita dalla Guardia Costiera Libica". Arriva poi la ricostruzione dell'armatore, la Augusta Offshore, che precisa: la richiesta di soccorrere un gommone a circa 1,5 miglia dalla piattaforma "è arrivata dal Marine Department di Sabratah" e le attività "si sono svolte sotto il coordinamento della Coast Guard libica", con un rappresentante dell'autorità salito subito a bordo. Asso ha recuperato i migranti e si è diretta verso il porto di Tripoli, dove li ha trasferiti a bordo di un battello libico, senza proteste ed incidenti. E non è la prima volta che i rimorchiatori delle piattaforme salvano vite. Dal 2012 sono stati 23.750 i soccorsi. Fino al 2017 le operazioni sono state coordinate da Roma. Nel 2018 lo scenario cambia. Per effetto di due novità: la linea dura anti-sbarchi del Governo italiano con Salvini ed il riconoscimento della zona di ricerca e soccorso (Sar) della Libia. Significa che non è più come prima il Centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma a gestire le operazioni di soccorso in mezzo Mediterraneo. Nelle acque Sar libiche interviene infatti il Centro di Tripoli e la Guardia costiera italiana, tutte le volte che riceve segnalazioni, le invia all'organismo libico, autorità competente sulla propria zona Sar e che assume il coordinamento dei soccorsi. E' quello che è avvenuto ieri. Ma la Libia non è considerata porto sicuro e la Corte europea nel 2009 ha condannato l'Italia per aver riportato indietro migranti a bordo di navi militari. In quel caso però il salvataggio era avvenuto in acque internazionali. Per Marina Castellaneta, ordinario di diritto costituzionale a Bari, l'Italia rischia una condanna: "la nave è italiana, quindi lo Stato è responsabile come se fosse il suo territorio". Non è un caso se Salvini nelle ultime settimane ha chiesto più volte, ma invano, di riconoscere la Libia come porto sicuro. L'Unhcr vuole vederci chiaro: "stiamo raccogliendo tutte le informazioni necessarie sul caso. La Libia non è un porto sicuro e questo atto potrebbe comportare una violazione del diritto internazionale". Anche la Commissione europea ricorda che "la Libia non può essere considerata porto sicuro, viste le "diffuse e gravi violazioni dei diritti dei migranti, regolarmente sollevate dalle organizzazioni dei diritti umani, nazionali e internazionali. Siamo in contatto con gli italiani per saperne di più". Protesta il mondo delle ong, mentre il Garante dei detenuti esprime "forte preoccupazione" e chiede alle autorità competenti "ulteriori, ufficiali informazioni".

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