Mercoledì 18 Dicembre 2024

Stuprata dal fratello, indonesiana condannata per aborto

Prima è stata violentata più volte dal fratello e alla fine è rimasta incinta. Poi ha abortito in maniera clandestina, forse per evitare lo stigma sociale in una società ancora legata a valori tradizionali e il giudizio dei vicini di casa. Per questo è stata condannata a sei mesi di prigione. E’ una catena di tragedie dentro la tragedia la storia vissuta da una ragazza indonesiana di 15 anni, vicenda rimbalzata sui media internazionali. Sia lei sia il fratello di 18 anni sono stati giudicati colpevoli, anche se per reati diversi, da una corte distrettuale. Il ragazzo dovrà restare in carcere due anni per aver fatto sesso con una minorenne mentre la sorella ha ricevuto una condanna per avere scelto di mettere fine alla gravidanza fuori tempo massimo e senza rivolgersi a un ospedale autorizzato. L’aborto è infatti illegale in Indonesia ma è permesso in caso di stupro. Tuttavia, l’intervento dovrebbe essere effettuato entro le sei settimane dal concepimento mentre la giovane ha abortito quando era ormai incinta di sei mesi. La ragazzina, secondo l’accusa, sarebbe stata aiutata da sua madre a praticare l’aborto clandestino. Anche la donna è finita sotto accusa. In tribunale è emerso che la ragazza era stata violentata otto volte da settembre. A maggio, la gente del posto aveva scoperto il corpo senza testa di un feto vicino a una piantagione di olio di palma. A giugno i due fratelli sono stati arrestati. I pubblici ministeri avevano chiesto in un primo momento che la ragazza fosse incarcerata per un anno e suo fratello per sette anni e ora non escludono di poter fare appello contro la decisione della corte. Oltre al carcere i due ragazzi dovranno anche sottoporsi a un periodo di riabilitazione in un centro educativo. Le leggi sull'aborto in Indonesia sono state spesso criticate dalle autorità sanitarie internazionali e dai gruppi per la difesa dei diritti delle donne. A loro parere, molte indonesiane sarebbero costrette ad abortire in cliniche illegali. Secondo un rapporto del 2013 dell’Organizzazione mondiale della sanità gli aborti rappresenterebbero tra il 30% e il 50% delle morti tra le madri nel Paese.

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