Se qualcuno chiede aiuto in mezzo al mare potrà sempre contare sulla Guardia Costiera italiana: "abbiamo risposto sempre, sempre rispondiamo e sempre risponderemo ad ogni chiamata di soccorso. E’ un obbligo giuridico ma prima ancora morale. Tutti gli uomini di mare, da sempre e anche in assenza di convenzioni, hanno soccorso e aiutato chi si trova in difficoltà». Il comandante generale della Guardia Costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino, cancella in un’intervista all’ANSA ogni dubbio sul comportamento dei suoi 10.600 uomini: «non abbiamo mai lasciato qualcuno solo in mare». E spazza via anche ogni accusa per quanto riguarda l'odissea della nave della Ong Lifeline. «Noi non abbiamo avuto alcuna forma di responsabilità sulla vicenda. L’unità è intervenuta di sua iniziativa». Per la Guardia Costiera sono giorni difficili, messa al centro di una lotta tutta politica che rischia di incrinare l'Europa. Ma per chi sa cosa significhi salvare vite in mezzo al mare, le cose in fondo sono molto semplici. Se qualcuno chiede aiuto, non ci si tira indietro. Mai. Possibilmente, però, senza dover agire da soli: perché questo ha fatto la Guardia Costiera. "Negli ultimi 4 anni abbiamo soccorso tutte le imbarcazioni che chiedevano aiuto tra l’Italia e il nord Africa. Siamo stati chiamati 4.700 volte e 4.700 volte abbiamo avviato le operazioni, in un milione e centomila chilometri quadrati, che è praticamente la metà del Mediterraneo. Abbiamo soccorso più di 600mila persone, un numero enorme corrispondente ad una città come Genova. E lo abbiamo fatto da soli. Eppure - dice sconsolato l’ammiraglio Pettorino - sul nostro mare si affacciano 23 paesi. E l’Europa non è fatta soltanto dall’Italia». Quella stessa Europa che dovrebbe capire che è arrivato il momento di rivedere normative e trattati. Su come farlo, l'ammiraglio non si sbilancia - «questo esula dai miei compiti" - ma su quello che servirebbe ha le idee chiare. «Noi operiamo sulla base della convenzione di Amburgo per la ricerca del soccorso in mare, che è del 1979 e funziona benissimo per le emergenze che accadono episodicamente nei mari. Ma qui ci troviamo di fronte ad un esodo epocale, più che biblico, perché la Bibbia parlava di un esodo di 40 mila persone e qui parliamo invece di una cifra che si avvicina al milione. Un intero popolo che si sposta o tenta di spostarsi via mare, in un tratto breve ma pericoloso e con mezzi inadeguati». E quindi? «E quindi occorre rivedere la Convenzione, serve un accordo tra tutti i paesi per governare questo fenomeno che va affrontato con norme adeguate. Questa non è la storia del Titanic, o della Concordia. E' un pezzo della nostra stessa storia». Qualche piccola cosa però comincia a cambiare. A partire dal ruolo della Libia, che ora ha un’area Sar riconosciuta anche dall’Imo, l’Agenzia per la sicurezza della navigazione dell’Onu e che sta iniziando a lavorare «in maniera abbastanza efficiente": negli ultimi sei mesi, spiega Pettorino, «la guardia costiera libica ha soccorso 10mila persone». Una situazione che consente all’ammiraglio di chiarire anche un altro punto su cui si fa spesso confusione. «Quando i libici assumono il coordinamento nella loro area Sar, l’Italia non può più intervenire, altrimenti interferirebbe». Certo, sulla Libia c'è ancora «molto da fare» e un contributo lo sta dando anche la Guardia Costiera italiana, che coordina un progetto europeo per migliorare le capacità del Mrcc libico. E le Ong? Che fine faranno? «Quando si trovano in mare, le loro navi rispondono alle leggi del mare che dicono che se c'è una situazione d’emergenza si ha l’obbligo di intervenire. Ma fare soccorso - ricorda a tutti il comandante della Guardia Costiera - è un’attività meritoria che va fatta con mezzi idonei». Altrimenti? «Altrimenti non solo si rischia di non aiutare, ma di fare danni a chi viene soccorso ed allo stesso equipaggio».