Il timbro a «una rivoluzione silenziosa» - nelle parole del premier liberale Leo Varadkar - che mette fine all’eccezione irlandese. Non è stata solo una vittoria quella suggellata ieri sull'isola verde dai sì al referendum sull'aborto libero. E’ stata una valanga, annunciata dagli exit poll e marcata - sia pure un pò a rilento - dai dati ufficiali con il 66,4% di voti favorevoli contro il 33,6%. Che l’Irlanda non fosse più "cattolicissima", a dispetto dei luoghi comuni sempre pronti all’uso, lo si sapeva da tempo: a sancirlo erano già arrivati il responso popolare di 3 anni fa (di nuovo oltre il 60% degli elettori) pro-nozze omosessuali; l'ascesa alla guida del governo di un gay dichiarato e militante come Varadkar; le posizioni defilate della medesima gerarchia ecclesiastica sui temi etici e, prim'ancora, la sua crisi legata agli scandali o agli insabbiamenti sui casi di pedofilia e non solo. Ma il verdetto delle urne sull'aborto è qualcosa di più di una conferma. Sembra avere l’effetto di un terremoto. La partita si chiude con un risultato che non lascia spazio a discussioni, almeno per ora. Una sonante abrogazione dell’articolo 8 della Costituzione: ossia del principio di equiparazione fra diritto alla vita del nascituro e della madre che finora aveva di fatto vietato le interruzioni di gravidanza, salvo rare eccezioni, costringendo le donne che intendevano abortire comunque (e potevano farlo) a viaggiare all’estero. Il primo ministro (in lingua gaelica taoiseach) Varadkar, promotore di una consultazione preparata da lungo tempo da varie organizzazioni femministe e sostenuta ora da quasi tutto l'establishment politico di Dublino, esulta. Si è trattato del compimento di una «rivoluzione silenziosa» iniziata 10 se non 20 anni fa, afferma oggi, aggiungendo di puntare ora - rafforzato - all’approvazione di una legge sull'aborto libero entro fine anno. Il testo è già pronto. Non prevede ostacoli o requisiti di sorta per mettere fine a una gravidanza nei primi tre mesi e lascia spazio anche ad aborti tardivi purché motivati. Sul livello di permissività delle nuove norme, il fronte pro-life è pronto a riprendere la battaglia. Ma gli animi sono a terra e la delusione è palpabile. Gli accenni a un’ipotetica 'rimontà, evocata sulla base di qualche sondaggio giusto un pò più cauto dai media per "vendere" la storia e dagli attivisti pro-choice per evitare l’unico vero rischio (sventato), quello d’una bassa affluenza, si son rivelati inconsistenti. I numeri consolidano anzi quelli già certificati dal referendum sul matrimonio gay del 2015, con un rapporto di due terzi a un terzo fra quella parte di Paese ormai secolarizzata, in scia al resto d’Europa, e la trincea della tradizione. Tanto che al portavoce della campagna "Save The 8th", John McGuirk, non è rimasto che riconoscere la disfatta prim'ancora del conteggio completo. A celebrare, fra le tante donne radunate dinanzi al castello di Dublino, è invece Orla O'Connor, regista del gruppo "Together for Yes": «Oggi si è restituito finalmente alla donne il giusto posto nella società irlandese», dice. E arriva pure il grazie della famiglia di Savita Halappanavar, giovane d’origine indiana morta nel 2012 a Galway, per una setticemia seguita a un aborto spontaneo dopo che le era stata negata l’interruzione di gravidanza, ed eletta a simbolo della mobilitazione per il sì. Dall’estero piovono intanto le congratulazioni di esponenti politici stranieri e celebrities (dall’Italia, fra i primi, Laura Boldrini). Mentre riparte il dibattito in Irlanda del Nord, dove a opporsi all’aborto sono i protestanti della destra unionista al potere a Belfast e dove il divieto resta per ora sostanziale. Salvo il fatto che le donne nordirlandesi, in quanto suddite britanniche, possono provvedere altrove nel Regno facendosi poi rimborsare dal sistema sanitario nazionale.