Come la Libia. Questo il destino della Corea del Nord se alla fine non si raggiungesse un accordo con gli Usa sul nucleare. Almeno nella prospettiva paventata dall’amministrazione Trump, scandita questa volta dal vicepresidente Mike Pence in un’intervista a Fox News, e a chiare lettere, al punto che all’osservazione sulla possibile interpretazione del paragone come una minaccia (Kim come Gheddafi?) Pence non ha lasciato spazio a dubbi: «Sono fatti». Ci si muove così fra avvertimenti e cautele verso lo storico summit fra Trump e Kim su cui il presidente Usa per primo mostra prudenza, fino ad evocarne un rinvio: «Se non accade adesso, può accadere anche in seguito». E, ancora: «C'è una possibilità molto concreta che non accada» entro il 12 giugno, come da programma. A provare a rasserenare il clima ci ha pensato Seul, con il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente sudocoreano Moon Jae-in che ai reporter sul volo verso Washington ha garantito: «Crediamo che ci sia un 99,9% di possibilità che il summit si tenga come da programma ma ci stiamo preparando per molte differenti eventualità». La Corea del Sud - e il presidente Moon in particolare - interpreta così appieno il suo ruolo da mediatore, adesso investito anche del compito di salvare l’incontro, tenendo aperta la possibilità di un accordo che giorno dopo giorno è andata scricchiolando, fino ad instillare dubbi e timori di una debacle anche nel presidente Trump, stando ad indiscrezioni raccolte dai media Usa. E allora Moon ha ribadito, dallo Studio Ovale, che si è un passo più vicini al sogno di una Penisola coreana denuclearizzata e che "il suo destino e il futuro» dipendono dai colloqui imminenti. E’ stato poi però ancora Trump in persona a parlarne in lungo e in largo prima dell’incontro con Moon alla Casa Bianca diventato cruciale per smussare quegli spigoli che continuano ad emergere nel pur incessante lavorio diplomatico. Qualcuno di questi lo ha menzionato lo stesso tycoon, quando ha sottolineato la sensazione che l’atteggiamento di Kim sia cambiato dopo l'ultimo incontro con il presidente cinese Xi Jinping: «C'era qualcosa di diverso dopo che Kim è stato in Cina la seconda volta», ha detto. Quindi la speranza che la Cina non stia influenzando negativamente il suo alleato. Poi le condizioni - non rivelate ai giornalisti, ma menzionate a più riprese - necessarie e indispensabili perché si possa proseguire verso il summit, con l’obiettivo imprescindibile che resta frenare il programma nucleare di Pyongyang. Credo che Kim sia «molto serio" sulla denuclearizzazione, ha concesso il presidente Usa, per poi appellarsi direttamente a lui: se l’accordo con la Corea del Nord sarà raggiunto, Kim «ne sarà estremamente contento. Ha occasione di fare qualcosa di cui essere orgoglioso». Altrimenti, è la minaccia di Washington, prima o poi dovrà fare i conti con la fine spaventosa di Gheddafi.