Lunedì 18 Novembre 2024

Alfie stupisce tutti e continua a resistere, dai giudici no al trasferimento in Italia

LIVERPOOL. L’Italia è pronta ad accoglierlo, ma la giustizia britannica ribadisce il suo "no". Arriva stasera da Manchester, sede dell’ennesima udienza straordinaria sul caso, l’ultima doccia fredda per i genitori del piccolo Alfie Evans: che nella sua stanza dell’Alder Hey Hospital di Liverpool non s'arrende e continua a respirare da ore, con la spina ormai staccata, in barba a tutte le previsioni. Una resistenza inattesa che alimenta le polemiche, nel Regno e soprattutto in Italia, costringendo la magistratura a riesaminare il dossier. Senza produrre però, almeno all’apparenza, cambiamenti sostanziali. Il giudice d’appello dell’Alta Corte britannica Anthony Hayden, l’uomo che nei giorni scorsi aveva dato il via libera ad interrompere il sostegno alle funzioni vitali a questo bambino di 23 mesi colpito da una grave patologia neurodegenerativa mai diagnosticata esattamente, alla fine non torna sui suoi passi, salvo che su un punto. Chiede ai responsabili dell’Alder Hay di valutare se consentire a mamma Kate e papà Tom, protagonisti 20enni d’una battaglia sempre più straziante, di riportare a casa il loro bambino. Ma non apre alcuno spiraglio alla loro rinnovata istanza di trasferirlo in Italia: né al Bambin Gesù di Roma, né al Gaslini di Genova, entrambi pronti a continuare a garantire quell'assistenza che viceversa i medici di Liverpool giudicano da tempo «inutile». Rimane così sulla pista l’aereo ambulanza messo a disposizione della titolare della Difesa, Roberta Pinotti, dopo la concessione della cittadinanza italiana ad Alfie «per motivi umanitari» formalizzata oggi dal Consiglio dei Ministri. Un passo che il mondo politico romano apprezza pressoché all’unanimità, mentre anche il Vaticano prova a tessere la sua tela. E spinge alcune forze a rilanciare: dalla Lega di Matteo Salvini, che presenta una mozione in parlamento per «salvare Alfie"; a Gianni Alemanno che arriva addirittura a evocare la rottura delle relazioni diplomatiche con Londra. Il nodo sembra essere peraltro inestricabile. Per le autorità britanniche, la cittadinanza italiana non cambia il fatto che Alfie Evans resta anche suddito del Regno, soggetto delle sentenze delle corti di Sua Maestà e delle valutazioni dei medici dell’ospedale in cui è ricoverato in territorio britannico. Medici fermi sulle loro scelte anche nella risposta di oggi al giudice sull'ipotetico ritorno a casa del piccolo: "Ci vorranno almeno 3-5 giorni» per valutare la cosa, fa sapere il team che lo ha avuto in cura in questi mesi. Sempre che Alfie sopravviva ancora, col solo ausilio intermittente d’idratazione e bombole d’ossigeno. Comunque «al momento nulla è possibile» a causa della pretesa «ostilità» dei manifestanti che sostengono la battaglia dei genitori accampati fuori dall’Alder Hey sotto la sorveglianza di uno schieramento di polizia, insistono, aggiungendo di avere «sinceramente paura». Sul banco degli imputati ecco salire così «alcune delle persone che sono intorno ai genitori": accusate di dare «false speranze» pure dal giudice Hayden, che parla di clima «profondamente deprimente» e arriva a bollare come «fanatico e illuso» uno degli attivisti del gruppo di sostegno denominato Alfiès Army. Sul fronte opposto la replica - prima ancora che da attivisti, organizzazioni cristiane ed esponenti politici, britannici o italiani che siano - arriva d’altronde dagli stessi papà Tom e mamma Kate. Consapevoli, non lo hanno mai negato, dei danni irreparabili al cervello di Alfie, ma convinti oggi più che mai - dopo 19 ore in cui il piccolo ha continuato per lunghi tratti a respirare placidamente anche senza assistenza meccanica, a dispetto dei dottori che s'attendevano si spegnesse "in pochi minuti» - che non sia «terminale». E «non soffra» per il prolungamento di quella terapia che all’Alder si è stabilito di sospendere in nome del suo asserito «miglior interesse».  Un bambino malato certo, chiosa il presidente della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca: ma che come tutti i bimbi, non solo il principino nato ieri in casa Windsor, avrebbe diritto di essere trattato fino all’ultimo «come un Royal Baby».

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