NEW YORK. L’Onu sfida Donald Trump e condanna a larghissima maggioranza la decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele e di spostare l’ambasciata nella Città santa.
Un vero e proprio schiaffo inferto al presidente americano dalla comunità internazionale, e sul palcoscenico più importante della diplomazia: l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Su 193 Paesi, ben 128 hanno votato a favore della risoluzione presentata da Turchia e Yemen e appoggiata in massa dai Paesi arabi, musulmani ed europei. Nove i Paesi contrari (oltre a Usa e Israele anche Togo, Micronesia, Nauru, Palau, Isole Marshall, Guatemala e Honduras) e 35 gli astenuti (tra cui Canada e Australia). Nel testo non vincolante ma dal valore altamente simbolico la mossa di Trump viene considerata - come hanno spiegato i relatori - «una minaccia per la stabilità del Medio Oriente e per la pace e la sicurezza internazionali». Anche l'Italia si è espressa a favore, schierandosi con 25 Stati membri dell’Unione europea, inclusi Francia, Germania e Regno Unito. Sì anche da Paesi alleati degli Usa come il Giappone e la Corea del Sud.
Mai come adesso, dunque, Trump appare isolato nel mondo. E il solco sembra destinato ad allargarsi sempre di più, con sviluppi imprevedibili. Intanto l’ira della Casa Bianca traspare ancora una volta dalle parole durissime pronunciate dall’ambasciatrice americana al Palazzo di vetro, Nikki Haley: «Ce ne ricorderemo», la sua minaccia nemmeno tanto velata, dopo che ieri direttamente Trump aveva agitato lo spettro del taglio dei fondi sia all’Onu e alle sue agenzie sia ai Paesi schierati a favore della risoluzione. «L'America sposterà la sua ambasciata a Gerusalemme perché è la cosa giusta da fare. E nessun voto ci farà cambiare idea. Ma questo è un voto che gli Stati Uniti terranno bene a mente», il monito della Haley, che ha parlato di «mancanza di rispetto» verso gli Usa, principali contributori delle Nazioni Unite. «Se i nostri investimenti falliscono, non portano risultati - ha aggiunto - allora abbiamo l’obbligo di destinare le nostre risorse ad altri obiettivi più produttivi».
Un futuro dunque carico di nubi, che marca la distanza sempre più netta tra l’amministrazione Trump e quelle Nazioni Unite già bersaglio del tycoon fin dalla campagna elettorale. Una distanza che rischia ora di diventare incolmabile. Come difficile è al momento intravedere spiragli per una ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi. I toni sono da muro contro muro. Per i primi il voto dell’Assemblea generale è destinato «al secchio della spazzatura della storia», con il premier Benyamin Netanyahu che accusa l’Onu di essere «la casa delle bugie». Per il governo palestinese invece, la decisione dell’amministrazione Trump è «un attacco alla pace» e «un’aggressione alla nazione araba e ai musulmani nel mondo».
E pazienza se l’ambasciatrice americana ha ribadito con forza che la mossa di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme «non pregiudica lo status finale della città, non pregiudica la soluzione dei due Stati e non danneggia gli sforzi di pace». «E' un nostro diritto, ha aggiunto, scegliere dove avere un’ambasciata. Il mondo non sembra pensarla così.
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