WASHINGTON. «E' il momento di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele. E’ la cosa giusta da fare». Lo storico annuncio di Donald Trump arriva in diretta tv. Un brevissimo discorso dalla Diplomatic Reception Room della Casa Bianca per spiegare che la svolta che manda in soffitta 70 anni di politica estera Usa è «una scelta necessaria per la pace». Pazienza se il mondo arabo è in fibrillazione, se a Gaza già bruciano le bandiere americane e se Hamas parla di decisione che "ha aperto le porte dell’inferno», col rischio di un’esplosione incontrollata della violenza. E pazienza se dalla comunità internazionale arriva un coro di 'nò allo strappo unilaterale deciso dal presidente americano, compreso quello di Papa Francesco che chiede il rispetto dello status quo. Trump tira dritto per la sua strada, anche a costo di isolare l'America tra i suoi più stretti alleati, e conferma anche che l'ambasciata americana in Israele sarà trasferita da Tel Aviv a Gerusalemme, senza per ora indicare i tempi. «Non si può continuare con formule fallimentari, per risolvere la questione israelo-palestinese serve un nuovo approccio», afferma risoluto il presidente americano. Davanti alle telecamere appare più serio che mai, insolitamente misurato nelle parole, conscio della delicatezza di una mossa che in molti giudicano spregiudicata, se non avventata, e che potrà avere ripercussioni importanti anche sugli interessi americani in Medio Oriente e in tutto il mondo. «Gli Usa hanno rinunciato al loro ruolo di mediatori di pace», la reazione del leader palestinese Abu Mazen». Ma il tycoon assicura che la fuga in avanti non comprometterà il difficile processo. Un processo su cui ribadisce con fermezza l'impegno degli Stati Uniti, che continuano a credere come la via dei due Stati sia quella da percorrere, oltre ad essere quella condivisa dall’intera comunità internazionale. E presto potrebbe vedere la luce il piano a cui sta lavorando da tempo la Casa Bianca: una tela tessuta soprattutto dal genero-consigliere del presidente, Jared Kushner, col segretario di Stato Rex Tillerson messo ancora una volta ai margini. Trump sembra crederci, nonostante lo scetticismo generale. E invia il vicepresidente Mike Pence per una missione nella regione mediorientale. L’unico a esultare è il premier israeliano Benyamin Netanyahu, che parla di «pietra miliare» e di «decisione storica": un atto - aggiunge - «giusto e coraggioso» da parte della Casa Bianca. Non la pensano così Iran e Turchia, i due Paesi musulmani che hanno replicato in maniera più dura a Trump, parlando di provocazione ingiustificata e minacciando rappresaglie. «La Palestina sarà liberata», ha reagito l'ayatollah Khamenei. Mentre la Lega Araba si prepara sabato a riunire i suoi ministri degli Esteri, e il presidente turco Erdogan ha convocato un summit dei Paesi islamici a Istanbul. Si lavora insomma alle contromisure, con alcuni degli osservatori che non escludono cambiamenti sul fronte geopolitico. Ma strali sulla decisione del presidente americano sono arrivati anche dall’Europa, dalla Nato e dal Palazzo di vetro. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha espresso tutto il suo disappunto per una decisione che smentisce 70 anni di risoluzioni Onu, dicendosi contrario a ogni decisione unilaterale. Poi il monito: «Gerusalemme è la capitale di Israele e dei palestinesi. E non esiste un piano B rispetto alla soluzione dei due Stati». Le parole più severe sono quelle del presidente francese Emmanuel Macron, che parla di decisione "deplorevole». Per la premier britannica Theresa May "Gerusalemme deve essere una capitale condivisa». Preoccupazione trapela anche dal Quirinale e da Palazzo Chigi, con Gentiloni che ha indicato nel «processo di pace basato sui due Stati" l'ambito nel quale definire il futuro status di Gerusalemme.