BRUXELLES. Contrordine. Carles Puigdemont, come si era creduto fino all’ultimo minuto, non è rientrato a Barcellona con alcuni dei ministri del suo Govern destituito. A bordo dell’ultimo aereo proveniente da Bruxelles ieri in serata c'erano soltanto due ex consiglieri della Generalitat: Dolors Bassa (lavoro) e Joaquim Forn (interno). Sono stati accolti all’aeroporto El Prat da numerosi giornalisti e da manifestanti anti-indipendentisti, che hanno cantato canzoni pro-Spagna e hanno insultato i due, chiamandoli «traditori», «cani» e chiedendo per loro il carcere.
Secondo La Vanguardia, il primo quotidiano a parlare di ritorno a Barcellona citando fonti che lo avevano visto a bordo del volo Vueling, in realtà Puigdemont è rimasto a Bruxelles, insieme con altri ex ministri: Toni Comín, Meritxell Borràs, Clara Ponsatí, Lluís Puig y Meritxell Serret.
Quella di ieri è stata un’altra giornata convulsa, rendendo ancor più incandescente la crisi catalana che Puigdemont, minacciato di arresto in Spagna, ha cercato di internazionalizzare. Da Bruxelles ha negato di voler chiedere l'asilo ma ha lanciato un appello all’Europa perché "reagisca" davanti alla «repressione» spagnola.
Proprio mentre parlava in un’affollatissima conferenza stampa nel cuore europeo di Bruxelles, a Madrid la giudice spagnola Carmen Lamela ammetteva la denuncia per 'ribellione' presentata contro di lui e il suo governo dal procuratore generale dello Stato spagnolo, Juan Manuel Maza. Lamela ha convocato Puigdemont giovedì per interrogarlo. Rischia la detenzione preventiva. La magistrata due settimane fa ha ordinato l’arresto dei due leader indipendentisti Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, accusati di 'sedizionè. Oggi ha anche ordinato al 'President' e ai suoi 13 ministri di pagare entro tre giorni una garanzia di 6,2 milioni di euro o sequestrerà i loro beni.
La mossa di Puigdemont comunque ancora una volta ha spiazzato il governo spagnolo, che ieri si rallegrava dell’assenza di resistenza istituzionale e di piazza a Barcellona, non aspettandosi certo la 'fugà di Puigdemont. Rajoy ha convocato in serata a Madrid una riunione straordinaria del consiglio dei ministri per studiare le contromosse annunciando. Al termine della quale, tra l’altro, il delegato del governo spagnolo per la Catalogna, Enrin Millo, ha detto che Madrid «ovviamente" rispetterà il risultato delle elezioni catalane del 21 dicembre.
Parlando in quattro lingue dal cuore dell’Europa, Puigdemont ha respinto la destituzione decisa da Madrid ("sono il legittimo presidente") e affermato che il suo Govern si ritiene sempre in funzione. Gli indipendentisti, ha assicurato, correranno alle elezioni imposte da Rajoy il 21 dicembre «per vincerle». Un sondaggio indica oggi che il fronte indipendentista potrebbe conservare la maggioranza assoluta in parlamento. E che il 'sì' all’indipendenza fra i catalani è ai massimi storici con il 48,7% contro il 43,6% del 'nò. Puigdemont ha poi sfidato Madrid a impegnarsi a rispettare il risultato delle urne: «Voglio una risposta chiara. Rispetteranno il risultato, sì o no? Noi lo faremo». La risposta, affermativa, è arrivata in serata.
Il 'President 'ha specificato di non essere andato in Belgio per chiedere l’asilo, anche per non mettere in imbarazzo gli amici nazionalisti fiamminghi al governo con il premier liberale vallone Charles Michel. Aveva detto di essere andato a Bruxelles per poter lavorare con la «sicurezza e le garanzie» che in Spagna non ha più, aggiungendo di essere pronto a tornare: «Subito, con la garanzia di un processo giusto».
Il procuratore Maza ha chiesto la sua incriminazione e quella degli altri leader indipendentisti per «ribellione», «sedizione" e «malversazione». Diversi giuristi contestano la linea di Maza, ricordando che il reato di ribellione comporta un «sollevamento violento» che in Catalogna non c'è stato. «Non è giustizia, è vendetta», ha accusato il President.
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