BARCELLONA. E’ stato il 'D-Day' della secessione, il giorno dello strappo fra Barcellona e Madrid dopo settimane di guerriglia sulla indipendenza. Spagna e Catalogna sono ora in una terra ignota, irta di incognite e pericoli. Alle 15:27 di oggi, venerdì 27 settembre 2017, il Parlamento catalano ha votato la proclamazione della Repubblica, «stato indipendente e sovrano», e la secessione dalla Spagna. Un voto definito «storico» dal fronte indipendentista, «un atto fuori dalla legge e criminale» per il premier spagnolo Mariano Rajoy.
Il Senato di Madrid praticamente nello stesso momento ha approvato l’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione chiesto da Rajoy contro la Catalogna, dando pieni poteri al premier conservatore, appoggiato dai leader unionisti di Psoe e Ciudadanos, per riprendere in mano le redini della regione ribelle. Il premier spagnolo ha subito convocato a fine pomeriggio un Consiglio dei ministri per prendere le prime, durissime misure, annunciando in Senato la destituzione del presidente catalano Carles Puigdemont, del vicepresidente Oriol Junqueras, e di tutto il governo, sostituiti da delegati di Madrid, e l’immediata limitazione dei poteri del Parlamento di Barcellona. Il governo di Madrid prenderà anche il controllo della polizia catalana dei Mossos d’Esquadra, che userà come ariete per imporre il commissariamento, dell’amministrazione, del fisco, ma non della tv pubblica (al Senato la misura non è passata). Entro sei mesi, infine, saranno convocate nuove elezioni.
Non è chiaro però come potrà farlo. Tutto dipenderà dalla resistenza del popolo indipendentista e dei funzionari catalani al blitz spagnolo. Finora le manifestazioni per l’indipendenza sono sempre state pacifiche. Lo stesso Puigdemont ha invitato il popolo catalano a difendere la Repubblica «in maniera pacifica e civile». Ma l’emozione suscitata dallo strappo della Repubblica e dalle dure misure di Madrid può accendere gli animi. Il rischio è di un’esplosione di violenza. Lo scenario dei prossimi giorni è imprevedibile in buona parte. I due avversari impugnano ciascuno una legittimità. In gioco c'è una 'doppia legittimità', quella della Costituzione per la Spagna, e della 'legge catalanà, bocciata dalla Corte costituzionale spagnola, per Barcellona.
Il risultato del voto per l’indipendenza - 70 sì e 10 no - ha suscitato un boato di gioia fra le migliaia di persone che attendevano davanti al Parlamento. Nell’aula i deputati secessionisti si sono abbracciati cantando l’inno di Els Seagadors al grido «libertà». Decine di migliaia di persone hanno festeggiato in tutte le città della Catalogna, dalla Costa Brava ai Pirenei: le bandiere spagnole sono state tolte dalle facciate di decine di municipi, da Girona a Tortosa, da Figueres a Lleida, oltre ovviamente che da quella del Parlament.
Certo, il futuro della neonata 'Repubblicà è dei più complicati, forse impraticabile. La scure di Madrid si abbatte sull'autogoverno, all’estero nessuno la riconosce, Ue e Usa hanno confermato pieno appoggio a Madrid. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha però invitato la Spagna a non usare la forza. Non è chiaro come Puigdemont e i suoi ministri reagiranno alla formalizzazione della loro destituzione, probabilmente domani. Sembra improbabile la accettino. Si trincereranno nella Generalità, difesi da decine di migliaia di cittadini 'scudi umanì? Continueranno a guidare un governo parallelo? Come reagirà la piazza? Quanto durerà la «resistenza pacifica di massa» annunciata dagli indipendentisti? Le incertezze sono enormi. Fino a che punto lo Stato spagnolo sarà disposto a usare la forza? Nuove immagini come quelle del referendum del primo ottobre sarebbero disastrose per l’immagine di Madrid nel mondo. C'è anche la grande incognita penale. La procura spagnola prevede di incriminare per «ribellione» di Puigdemont e chiederne l’arresto. Per il popolo indipendentista, sarebbe una vera e propria dichiarazione di guerra.
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