BARCELLONA. Nelle elezioni normali il giorno prima del voto è dedicato alla riflessione e alla calma dopo le tensioni della campagna. Ma in questo referendum catalano nulla è normale, e così non lo è stata neanche la giornata della vigilia, percorsa da timori, tensioni, minacce, blitz, proclami e soprattutto da un’immensa incertezza per quanto accadrà.
Oltre a sbarrare i seggi (sono quasi tutti chiusi, ha annunciato in serata il ministero degli Interni di Madrid), lo Stato spagnolo ha inferto un ultimo duro colpo al governo catalano. Su mandato di un giudice, la Guardia Civil ha preso il controllo del centro Telecom Ctti della Generalità, per staccare le applicazioni che consentono il conteggio dei risultati, ma anche un possibile ricorso al voto elettronico.
Era, pare, il 'piano B' del governo del presidente Carles Puigdemont se la strategia decisa da Madrid per impedire il voto alle urne si fosse rivelata vincente. Il referendum è stato "annullato», ha subito annunciato il portavoce del governo spagnolo, Inigo Mendez de Vigo. Niente affatto, ha replicato pochi minuti dopo quello del governo catalano Jordi Turull: "Tranquilli, si voterà!». Un copione già visto. Da settimane Madrid garantisce che il referendum «illegale» non si farà e Barcellona replica che si farà eccome, malgrado «l'assedio" spagnolo. Così suspense sempre a livelli altissimi. Come la tensione.
Le forze in campo sono, per la Spagna, gli oltre 10mila agenti di Guardia Civil e Policia Nacional inviati da Madrid per impedire il voto. Sul fronte opposto, le decine di migliaia di attivisti, e il 62% dei 7,5 milioni di catalani che dice di voler votare comunque, nonostante il veto di Madrid. In mezzo i 17mila Mossos d’Esquadra catalani, che non si capisce bene cosa faranno.
Dipendono dal governo di Puigdemont, ma obbediscono come polizia giudiziaria anche alla procura spagnola, che ha ordinato loro di recintare i seggi, sequestrare le urne e impedire il voto. Il popolo indipendentista si è però mobilitato occupando da ieri notte centinaia di seggi per impedirne la chiusura. Migliaia di persone - genitori con i figli, attivisti, insegnanti, cittadini che vogliono votare - hanno occupato "pacificamente e festosamente» alcune scuole, palestre e centri civici, e intendono rimanere fino all’apertura dei seggi domani alle 9.
La 'resistenza dei pigiami', come l’hanno definita i media. Hanno portato stuoie, viveri e coperte per passare le due notti fra giochi, canti, tornei di scacchi e di calcio. Il capo dei Mossos, Josep Lluis Trapero, ha preso atto degli ordini della procura. Ma sembra deciso quanto meno a interpretarli. Ha mandato i suoi uomini a fare sopralluoghi nei seggi, avvertendo cortesemente gli occupanti che dovrebbero andarsene per le sei di domenica. Gli ordini dati ai Mossos prevedono che possono non procedere allo sgombero dei seggi se all’interno ci sono persone vulnerabili, come minori o anziani.
Le organizzazioni della società civile indipendentista hanno lanciato un appello a tutti perché evitino qualsiasi violenza, e resistano solo passivamente alla polizia. I seggi sono occupati da famiglie intere e a Girona fra gli 'okupas' è apparso anche un signore di 93 anni.
Grandissima incertezza quindi. Anche sulla capacità del governo catalano, dopo i duri colpi inferti all’organizzazione - fra arresti, perquisizioni e sequestri - dalla Guardia Civil, di far votare un numero significativo di cittadini, e centralizzare i risultati. In base ai quali, se vincerà il 'sì', da lunedì il parlamento catalano potrebbe dichiarare l’indipendenza.
Si spera non ci siano fiammate di violenza. La notte scorsa qualcuno ha sparato pallini di piombo contro un seggio occupato ferendo leggermente 4 persone. Il governo catalano ha messo in guardia da possibili «provocazioni spagnole». Il mondo ha ora gli occhi rivolti verso la Catalogna. E se i governi per solidarietà appoggiano Madrid, buona parte dell’opinione pubblica internazionale è sempre di più con Barcellona davanti alla 'repressionè attuata dalla Spagna. In Catalogna, ha detto il vicepresidente Oriol Junqueras, è in corso «un attacco alla democrazia senza precedenti nell’Europa moderna», «quanto sta accadendo è terribile». C'è amarezza per il silenzio dell’Ue. "Sono molto deluso», ha ammesso Puigdemont. Ma, comunque vada a finire domenica, tutti pensano già a lunedì. Il premier basco Inigo Urkullu ha parlato con Puigdemont e Rajoy, perché si parlino prima che sia davvero troppo tardi
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