Giovedì 19 Dicembre 2024

Brexit, May: "La Gran Bretagna uscirà dall'Unione Europea tra due anni"

Theresa May

LONDRA. Niente divorzio breve, fra Gran Bretagna e Unione Europea. Theresa May, da Firenze, prova a tirar fuori dalle secche il negoziato sulla Brexit e lo fa senza alcun ripensamento sull'uscita dal club dei 28, ma con la proposta esplicita di un periodo di transizione morbida. Due anni di tempo, per lasciarsi nel 2019 e dirsi addio nel 2021: restando possibilmente «amici» e giurando di garantire fino in fondo i diritti dei tanti cittadini europei residenti a Londra o nel resto del Regno, italiani inclusi. Più che una svolta, il discorso di Santa Maria Novella, oscurato un po' in tarda serata dall’annuncio di Moody's di declassare il rating della Gran Bretagna da Aa1 ad Aa2, anche a causa delle nebbie della Brexit, è stata un’apertura di tavolo, con molti punti da chiarire. Segnata da accenti orgogliosamente patriottici (siamo «la quinta potenza economica» del mondo, siamo «un popolo indomabile», il nostro destino post Brexit "sarà luminoso"), ma anche da spunti di dialogo e pragmatismo che Bruxelles, per bocca del capo negoziatore francese Michel Barnier, è parso accogliere per la prima volta in tono possibilista. Barnier, dopo sei mesi di freddezza e di colloqui mai decollati davvero, ha evocato stasera «un passo in avanti», per quanto tutto da «tradurre in posizioni negoziali». Paolo Gentiloni ha apprezzato da parte sua lo spirito «costruttivo». E lo stesso ha fatto più tardi Emmanuel Macron, ma ammonendo che senza ulteriori chiarimenti sulle questioni preliminari (diritti dei cittadini, confini irlandesi e obblighi finanziari) non si potrà procedere oltre. Scarrozzata su una Maserati, la premier conservatrice britannica ha attraversato una città imbandierata da vessilli blu dell’Unione: innalzati a Palazzo Vecchio e sventolati da un centinaio di manifestanti anti-Brexit rimasti a far da sfondo. Poi, è salita sul podio e ha cominciato a scoprire finalmente qualche carta sotto gli occhi di una platea di invitati scelti e lo sguardo vigile del suo 'politburò: i ministri euroscettici Boris Johnson e David Davis e il moderato Philip Hammond. Come largamente anticipato, la novità (relativa) è stata la formalizzazione della proposta di una fase transitoria biennale, a far data dalla scadenza negoziale del marzo 2019 e dalla entrata in vigore della Brexit. Un periodo "di attuazione" graduale degli accordi durante il quale il Regno punta a restare nel mercato comune europeo e nell’unione doganale, mettendo in cambio sul piatto una proroga della libertà di circolazione delle persone, il mantenimento temporaneo di leggi e norme europee e soprattutto il pagamento pieno al bilancio comunitario di altri due anni di versamenti. May ha parlato di «una quota equa», senza dare cifre, ma in soldoni si calcola che si tratti di 20 miliardi di euro. Solo una parte di quel conto di divorzio che, dal punto di vista europeo, comprende adempimenti e obblighi già assunti da Londra e da onorare a più lungo termine. E tuttavia somma sostanziosa e di fatto 'cash'. Resta d’altronde la 'condizionè britannica - che la premier conferma - di recuperare «il controllo dei confini» e riservarsi fin dal 2019 il diritto di censire (o «registrate") i 'migrantì europei pur lasciando i cancelli aperti sino al 2021. Inoltre, a proposito di cittadini Ue residenti nel Regno, May s'impegna a dare una "vera garanzia" sui loro diritti, non senza rivolgere uno specifico invito ai 600.000 italiani d’oltremanica a restare. Ma - a Brexit varata - solo attraverso «la protezione delle corti britanniche». Corti a cui, secondo Downing Street, spetterebbe al massimo recepire in qualche modo la giurisprudenza europea, nel quadro di un «meccanismo» di tutela reciproca ancora da delineare e certo, non più governato - come invece vorrebbe Bruxelles - dalla Corte di giustizia di Strasburgo. Per il resto il discorso di May, condito dalla rivendicazione del risultato referendario pro Brexit come scelta «di democrazia» da rispettare, è stato un appello a essere "creativi" per immaginare una futura nuova «partnership forte": diversa sia dal modello light che regola i rapporti dell’Ue col Canada sia da quello più oneroso adottato per la Norvegia. Una partnership fondata su «valori comuni», estesa dai commerci al dossier dell’immigrazione, alla lotta al terrorismo e alla difesa: terreni su cui la Gran Bretagna sa di pesare.Il tutto sullo sfondo di un’appartenenza all’Europa che lady Theresa afferma di non voler rinnegare uscendo dall’Ue. Ma che, avverte, é interesse anche «dei leader europei» conservare.

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