LONDRA. Non servirà il visto per viaggiare dall'Europa alla Gran Bretagna dopo la Brexit. E' questa la linea che ha scelto il governo di Londra impegnato nei difficili negoziati sull'uscita dall'Unione secondo le informazioni che ha raccolto la Bbc. Dovranno invece richiedere un permesso quanti vogliono lavorare, studiare o trasferirsi nel Paese. Viene quindi esclusa l'opzione di introdurre rigidi controlli alle frontiere, adottando modelli simili a quelli vigenti negli Stati Uniti e in Australia. Nel caso britannico infatti la responsabilità del monitoraggio sui flussi migratori non ricadrà tanto su polizia e addetti alla sicurezza delle dogane quanto sui funzionari dei servizi pubblici, sulle banche, sui datori di lavoro e sui proprietari di casa che dovranno verificare i documenti di chi arriva dal continente e vuole trasferirsi nel Regno. Secondo il Times, il nuovo sistema prevederà un periodo di transizione dopo che il Paese uscirà ufficialmente dall'Ue nel marzo 2019. Inizialmente infatti, quanti vengono in Gran Bretagna per lavorare dovranno semplicemente registrarsi presso l'Home Office senza incorrere in forme di restrizioni. La premier Theresa May ha precisato comunque che le regole attuali sono destinate a cambiare e ribadito che non ci sarà più la libertà di circolazione come è prevista oggi. La posizione di Londra, sebbene restino ancora da definire molti dettagli, ha comunque suscitato le critiche di chi afferma che in questo modo non si possono controllare in modo sicuro gli ingressi. A partire dall'ex leader dell'Ukip, Nigel Farage, secondo cui ancora una volta ci si "inchina" al volere di Bruxelles. Non la pensa così invece il deputato conservatore, fortemente euroscettico, Andrew Bridgen, secondo cui non avrebbe senso imporre un visto ai viaggiatori europei. "Le stesse restrizioni varrebbero poi imposte ai britannici che visitano il continente - ha detto - vi sembra possibile avere un sistema di visti per fare un fine settimana a Parigi?". Mentre si accende il dibattito viene pubblicato un dato che fa discutere, il record di lavoratori europei nel Regno, nonostante la Brexit. Hanno raggiunto i 2,37 milioni dopo un aumento di 126 mila nel periodo aprile-giugno 2017 rispetto all'anno scorso. Stando al Financial Times, il numero è salito soprattutto per i lavoratori in arrivo da Romania e Bulgaria ma il tasso di crescita inizia a dare segni di rallentamento rispetto al passato. In particolare per chi arriva dai 14 Paesi che sono da più tempo membri dell'Ue, come Germania, Italia, Spagna e Francia. Resta da vedere come Londra riuscirà realmente a controllare l'immigrazione come ha promesso più volte il partito conservatore. E le proposte del governo May devono trovare il sostegno nella controparte europea per tradursi in realtà. Le difficoltà nelle trattative con Bruxelles non mancano, come hanno sottolineato, parlando a Sky News in forma privata, alcuni membri dell'esecutivo Tory, secondo cui c'è la possibilità che la nuova sessione dei negoziati non inizi prima di Natale. Una serie di questioni infatti sono di difficile soluzione, a partire dal cosiddetto 'conto del divorzio', rispetto al quale Londra avrebbe ancora una serie di riserve. Sentita a questo proposito, la premier May non ha risposto direttamente alla domanda ma ha comunque ammesso che "c'è ancora molto da fare" nelle trattative e ha ricordato il grande impegno del suo governo con la pubblicazione negli ultimi giorni dei 'position papers', documenti in cui viene spiegata la posizione negoziale britannica sulle questioni più importanti.