ROMA. La polizia continua a negare che sia stato un terrorista. Ma l'impennata nel bilancio delle vittime dell'attacco al Resorts World Manila (38 morti), assieme al contraddittorio comportamento dell'assalitore e alla sua identità ancora ignota, tengono viva l'ipotesi che la risolutezza delle autorità nel ridurre l'accaduto a una mera rapina finita male sia quantomeno affrettata, mentre nel sud delle Filippine da dieci giorni i soldati combattono contro dei militanti jihadisti. Tanto più che l'Isis continua a rivendicare l'attacco come opera sua. Nella ricostruzione dell'accaduto, un uomo armato di fucile d'assalto M4 ha fatto irruzione nel complesso dell'intrattenimento vicino all'aeroporto di Manila, portando con sé due litri di benzina. E' poi riuscito a dar fuoco a dei tavoli da gioco nella sala principale del casinò, scatenando il panico tra i puntatori e portandosi via uno zaino pieno di fiches dal valore di due milioni di euro. Ha puntato il fucile contro macchine da gioco, schermi e bancomat. E' stato infine trovato carbonizzato sul letto in una camera dell'albergo annesso, a cui aveva appiccato le fiamme. Durante l'attacco non ha però mai sparato colpi diretti verso la folla: un dettaglio che la polizia di Manila interpreta come la prova che non fosse un terrorista. Per il portavoce Oscar Albayalde, l'uomo aveva disturbi mentali. L'ipotesi è che abbia avuto un raptus, o che in passato abbia perso soldi al tavolo verde. Per quanto la sua nazionalità non sia stata ancora accertata, le descrizioni sono concordi nel definirlo di razza caucasica con i baffi, e che parlava in inglese. Per l'Isis si è trattato di un "lupo solitario" che ha agito perché il gioco d'azzardo è "haram" - proibito - nell'Islam. Nel frattempo, non è ancora stata diramata la lista delle vittime, ma si sa che dei 38 morti perlopiù soffocati, 22 erano clienti del resort; altri 70 sono riusciti a fuggire con ferite lievi, provocate in gran parte dalla calca. Le incongruenze nella dinamica dell'assalto alimentano un clima di incertezza che ha portato a un drastico aumento delle misure di sicurezza a Manila, una capitale con 13 milioni di abitanti e centinaia di potenziali obiettivi terroristici, da centri commerciali a casinò. Con le Filippine già in allerta dal 23 maggio, quando centinaia di militanti jihadisti hanno assaltato la città di Marawi spingendo il presidente Rodrigo Duterte a proclamare la legge marziale su un'area grande quanto un terzo del Paese, l'arcipelago per quasi il 90 per cento cattolico teme che la minaccia del terrorismo islamico si stia concretizzando. Anche nell'ipotesi che il Resorts World Manila sia stato davvero attaccato da un lupo solitario radicalizzatosi con la causa jihadista, finora l'impressione è che l'Isis non disponga ancora di una rete logistica per attentati in grande stile nelle Filippine: anche nel caso dei militanti a Marawi, dove finora sono morte oltre 160 persone, mancano prove di un legame solido con lo Stato islamico. Sembra più che estremisti locali tentino di farsi notare dal gruppo. La fretta nel rivendicare l'attacco di ieri notte dimostra comunque che il tentativo di penetrare nell'arcipelago è serio. E in un Paese con oltre 10 milioni di musulmani, le possibilità di seminare il caos sono enormi.