NEW YORK. Donald Trump mantiene la parola data ai suoi elettori e annuncia il ritiro degli Stati Uniti dall'accordo di Parigi sul clima. Una svolta dalle conseguenze imprevedibili, che potrebbe spingere altri Paesi a seguire la stessa strada e a dire addio a quegli impegni solennemente presi nel 2015 da 195 nazioni per tagliare drasticamente il livello delle emissioni inquinanti. Trump si è rivolto agli americani e al mondo intero dal Rose Garden della Casa Bianca, in un clima surreale in cui a intrattenere le decine di giornalisti presenti ci ha pensato un'orchestrina jazz. In prima fila tutti i più stretti consiglieri del presidente americano. Quella West Wing che fino a poche ore prima era ancora divisa sulla necessità di rompere con un patto che ha rappresentato un fiore all'occhiello dell'amministrazione Obama. Dopo essersi preso al G7 di Taormina qualche altro giorno di tempo per decidere, Trump - raccontano nel suo entourage - è stato indeciso fino all'ultimo momento, incontrando da una parte il segretario di Stato Rex Tillerson, contrario a uno strappo così forte con l'Europa ma anche con la Cina, e dall'altra il numero uno dell'Epa (l'agenzia ambientale federale) Scott Pruitt, un 'falco' noto per le sue posizioni ultrascettiche sulla lotta ai cambiamenti climatici. Alla fine è prevalsa la linea dura: gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall'intesa di Parigi e negoziati da Barack Obama - ha detto il presidente americano - non sono realistici per gli Stati Uniti, favorendo invece Paesi come la Cina. Il risultato per la Casa Bianca è che quell'accordo non è in linea con il principio faro dell'amministrazione Trump, quello dell' 'America First', danneggiando l'economia americana e ostacolando la creazione di nuovi posti di lavoro negli Usa. E' un accordo - si legge in un documento dello staff presidenziale distribuito ai membri del Congresso - che "impone dei costi in anticipo sugli americani a danno dell'economia e della crescita del lavoro, mentre strappa impegni insignificanti da altri paesi, come la Cina". E pazienza se gran parte del mondo imprenditoriale, da Wall Street alla Silicon Valley, non la pensa così, compresi i giganti petroliferi come Exxon Mobil, Chevron e Bp. Il 'no' di Trump, comunque, di per sé non basta a far saltare l'accordo raggiunto due anni fa sotto l'egida delle Nazioni Unite. La Cina, che proprio Obama aveva convinto ad aderire con entusiasmo, ha assicurato che andrà avanti con l'Europa sugli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti. E' proprio dall'Unione europea che arrivano le reazioni più veementi, con il presidente della Commissione Jean Claude Juncker che parla di populismo e avverte: "Non è un bene che gli Usa si ritirino dalla scena mondiale. Ma sia chiaro che il vuoto lasciato dagli Usa verrà riempito". Di diverso tenore le reazioni da Mosca: "La Russia dà grande importanza all'accordo sul clima ma va da sé che la sua efficacia viene ridotta senza i suoi attori chiave", ha detto il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov. Ora si teme un 'effetto domino', con Paesi come India, Filippine, Malesia e Indonesia che potrebbero decidere a loro volta di abbandonare l'accordo. Del resto, se lo ha fatto il più grande inquinatore della storia perché non possono farlo loro?