NEW YORK. «Non è una guerra tra religioni, ma una guerra tra il bene e il male. E il mio è un massaggio di pace». Donald Trump, alla vigilia di appuntamenti come il vertice Nato e il G7, prova a indossare per la prima volta le vesti di leader internazionale e in un colpo solo spazza via mesi e mesi di retorica incendiaria e di propaganda elettorale anti-islamica. Così a Riad, davanti a 50 leader del mondo arabo e musulmano, chiarisce che l’America non è contro l’Islam, ma contro chi semina morte e minaccia il futuro delle nuove generazioni. Un cambio di tono dettato da una visione pragmatica: l’unico obiettivo è quello della pace e della stabilità nella regione mediorientale, da cui deriva la sicurezza anche nel mondo occidentale. Tutto il resto - compresa la questione del rispetto dei diritti umani che riguarda molti Paesi arabi - passa in secondo piano: «Non sono qui per dare lezioni a nessuno, o per dire cosa dovete fare e come dovete farlo».
Il presidente americano, però, non lancia solo l’atteso appello all’unità contro quello che chiama «estremismo islamico" e «terrore islamico» (deviando un pò dal testo preparato che parlava solo di «estremismo islamista") ma sferza con decisione la platea con un monito che non lascia spazio ad equivoci: i Paesi musulmani, una volta per tutte, devono assumersi le loro responsabilità. «Cacciate via gli estremisti dalle vostre case, dalla vostra terra santa, dai vostri luoghi di culto. Non ci può essere tolleranza verso il terrorismo. Possiamo vincere - sottolinea Trump - solo se tutti in questa stanza daranno il loro contributo». Da parte sua l’America, assicura, «è pronta a stare al vostro fianco, ma non può sostituirsi a voi».
Concetti in parte non molto distanti da quelli più volte espressi da Barack Obama, e che portarono alla nascita della coalizione internazionale anti-Isis a cui partecipano anche molti Paesi musulmani. Ma la vera svolta di Trump sta nel rompere con una visione molto più conciliante e rivolta a tutta la galassia dell’Islam, quella che Obama delineò nel suo famoso discorso all’università del Cairo nel 2009 e che nel 2015 portò allo storico accordo con l’ex stato canaglia dell’Iran.
Con la sua missione in Arabia Saudita e con la pros
sima tappa a Gerusalemme Trump non vuole lasciare dubbi sul fatto che quella strategia è finita. Gli Stati Uniti in Medio Oriente si riallineano ai Paesi arabi sunniti e a Israele, sfidando l’Iran sciita. E nel suo ispirato discorso di Riad, Trump ancora una volta non fa sconti a Teheran: «Sostengono il terrorismo e hanno aiutato il regime di Assad a compiere atti deprecabili». In fondo l’accordo da 110 miliardi di dollari per la vendita di armi all’Arabia Saudita è più che un avvertimento alla repubblica degli ayatollah: «Arriverà il giorno che il popolo iraniano avrà un governo giusto, il governo che si merita».
E’ presto per dire quale sarà l’impatto delle parole di Trump sul futuro. Ma l’ambizione del presidente americano è grande: "Spero che la giornata di oggi possa essere ricordata come l'inizio della pace in Medio Oriente e in tutto il mondo». Ci hanno provato in tanti. E tutti, compreso Barack Obama, hanno fallito. Trump ci riprova incontrando nei prossimi giorni Benyamin Netanyahu e Abu Mazen e sognando di essere lui l'artefice di una nuova era
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