BRUXELLES. L’uscita dall’Unione non è gratis. Niente di punitivo. Nessuna cospirazione. Ma Londra dovrà pagare il conto e le trattative sull'accordo commerciale futuro non saranno condotti in parallelo: è il messaggio emerso dal summit straordinario dei 27 leader sulla Brexit. Una manciata di minuti, tanto c'è voluto ai capi di stato e di governo per firmare le linee guida che governeranno il negoziato per il divorzio. In poche ore, in un vertice che resterà nelle memorie per la sua portata storica, oltre che per la sua breve durata, i leader hanno dimostrato una «straordinaria unità» nel sottoscrivere priorità e linee rosse per quella che si annuncia come una delle trattative più difficili della storia dell’Ue. Da Bruxelles sono partiti una serie di messaggi chiari alla Gran Bretagna, primo tra tutti: un invito «a non farsi illusioni», come sottolineato dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, perché c'è un «conto da pagare», ha avvertito il presidente Francois Hollande (al suo ultimo vertice). «Non è una cospirazione», ha chiarito la cancelliera tedesca Angela Merkel, ma una conseguenza del 'leavè referendario. E il conto «sarà considerevole», ha stimato il premier olandese Mark Rutte. Per il momento non ci sono cifre ufficiali, ma il cachet secondo calcoli informali circolati ammonterebbe a 60miliardi di euro, anche se fonti diplomatiche non escludono che la somma finale possa essere anche più alta. Il premier Paolo Gentiloni ci ha tenuto però a rassicurare: «per l'Italia non ci sono grandi pericoli». La partita dei conti potrebbe tuttavia spaccare la compattezza dimostrata dai 27 fin qui. Sul pericolo ha avvertito Juncker. "Faremo di tutto affinché non accada». Ma quando si andrà a mettere mano al portafoglio, le tensioni potrebbero essere inevitabili, perché tra i Paesi «c'è chi non vuole sborsare un euro in più, e chi non ne vuole rimettere nemmeno uno». A causare divisioni potrebbe essere anche la questione della ricollocazione dell’Agenzia del farmaco (Ema) e dell’Autorità bancaria (Ema) dalla Gran Bretagna all’Ue, che una ventina di Paesi, tra cui l’Italia, si sono candidati ad ospitare. Criteri, procedure, e roadmap dei trasferimenti si fisseranno al vertice di giugno, e una decisione potrebbe arrivare già in autunno. Il premier belga Charles Michel ha messo in guardia sulle "tattiche negoziali» della Gran Bretagna che punteranno a "dividere i Paesi». Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk però ha avvertito che l’unità dei 27 è nello stesso interesse del Regno Unito, «senza, non ci sarà accordo». Ma il negoziato non è ancora iniziato (entrerà nel vivo dopo le elezioni indette da Theresa May per l’8 giugno), che già sui due lati della Manica comincia a bisticciare. Juncker ha «auspicato» che «il blocco sulla revisione di medio termine» del budget comunitario espresso lunedì da Londra sia ritirato. «Renderebbe più facile l’avvio delle discussioni», ha avvertito. Fonti britanniche hanno però indicato che il governo tornerà sulla questione solo a consultazione avvenuta. La sensazione tra i leader Ue, come spiegato dal presidente dell’esecutivo comunitario «è che qualcuno a Londra sottostimi le difficoltà tecniche da affrontare». Tra i tre temi chiave, oltre ai conti finanziari, le garanzie per 4,5milioni di cittadini che vivono in Ue e in Gran Bretagna ("Vogliamo una risposta seria», ha detto Tusk) e le frontiere tra l’Irlanda del nord e l’Irlanda (il premier irlandese Enda Kenny ha chiesto di aggiungere una dichiarazione alle minute della riunione, in cui si riconosce che in caso di riunificazione ci sarà un ingresso automatico nell’Ue). Fino a quando questi tre punti non saranno risolti, non inizieranno le trattative sulla cornice per le relazioni future tra l’Ue e la Gran Bretagna. «Nessuno creda si possano fare in parallelo», ha ribadito Juncker.