WASHINGTON. L'America e la Corea del Sud devono mostrare fermezza di fronte alle ''provocazioni'' del regime nordcoreano. Il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence è a Seul, giunto poco dopo il lancio fallito di un missile balistico da parte di Pyongyang. E quella di Pence è la voce degli Stati Uniti davanti all'insolito silenzio del presidente Donald Trump, che ha scelto il ''no comment'' immediatamente dopo l'ultima provocazione nordcoreana.
Salvo tornare a twittare la mattina di Pasqua da Mar-a-Lago, affermando che la Cina sta lavorando con gli Usa per risolvere il problema nordcoreano. "Perche' dovrei chiamare la Cina un manipolatore di valuta quando sta lavorando con noi sul problema nordcoreano. Vediamo cosa succede!", ha scritto Trump.
A dare qualche elemento sulla strategia americana è il consigliere per la sicurezza Nazionale Usa HR McMaster: gli Stati Uniti stanno valutando, con gli alleati nella regione, con i partner e con la leadership cinese, "una serie di opzioni" in risposta a quello che considerano uno schema provocatorio della Corea del Nord. Con l'obiettivo di "agire in modo da evitare il peggio", dichiara McMaster, in missione in Afghanistan per gestire la crisi aperta con lo sgancio della super-bomba.
Gli Usa sono al lavoro per raccogliere dettagli sul lancio fallito, effettuato proprio dopo che Kim jong un aveva mostrato i muscoli al mondo facendo sfilare il suo arsenale di guerra nella grande parata del 'Giorno del Sole'. Secondo uno dei consiglieri per la Sicurezza della Casa Bianca, il missile testato dalla Corea del Nord è esploso 4-5 secondi dopo il lancio ed è un vettore di medio raggio. La stessa fonte ha inoltre sottolineato che gli Usa avevano buone informazioni di intelligence sia prima che dopo il fallito lancio di Pyongyang.
Resta tuttavia un mistero il suo fallimento: non si tratta della prima volta ma le particolari circostanze, le tensioni altissime e la mobilitazione americana (l''armada' mossa da Trump pronta a rispondere in caso di minaccia) insieme con le risolute dichiarazioni del commander in chief, sono tutti elementi che sollecitano ipotesi su quanto accaduto. Una di queste sottolinea la possibilità che il test missilistico fallito sia stato sabotato a distanza dagli Stati Uniti attraverso attacchi cibernetici di hacker dell'intelligence di Washington.
Non è una teoria nuova, ma a rispolverarla è un politico conservatore britannico, Sir Malcolm Rifkind, ex ministro degli esteri e della difesa nei governi di John Major, citato da alcuni media, fra cui il britannico Telegraph: il test ''potrebbe essere fallito perché il sistema non era in grado di portarlo a termine, ma si è portati a credere che gli Stati Uniti, attraverso metodi di cyberguerra, siano riusciti in varie occasioni a interrompere questo tipo di collaudi, facendoli fallire''. In fin dei conti, ricorda il Telegraph, nel 2014 l'allora presidente Usa Barack Obama ordinò che si intensificassero gli sforzi per colpire la capacità missilistica nordcoreana con la guerra elettronica e l'hackeraggio.
Caricamento commenti
Commenta la notizia