WASHINGTON. I Democratici ripartono da Atlanta per sfidare la nuova era Trump, eleggendo per la prima volta come presidente del comitato nazionale del partito (Dnc) un ispanico, Tom Perez, 55 anni, ex avvocato per la difesa dei diritti civili ma soprattutto ex segretario al lavoro nell'amministrazione di Barack Obama, che era il suo principale sponsor ed è stato il primo a congratularsi con lui. «Siamo tutti coinvolti insieme, ora dobbiamo combattere il peggior presidente nella storia degli Stati Uniti, guidati da nostri valori», ha detto Perez, che dopo aver vinto nel secondo round di votazioni con un margine non schiacciante (235 a 200) ha voluto suggellare subito l'unità del partito nominando come vice il suo principale sfidante: Keith Ellison, 53 anni, deputato afroamericano del Minnesota, primo musulmano della storia eletto in Congresso. È il primo passo della rinascita dopo le ferite dello scontro tra Hillary Clinton e Bernie Sanders nelle primarie e la cocente sconfitta delle ultime elezioni, che hanno consegnato ai repubblicani il controllo della Casa Bianca, del Congresso e dei due terzi dei governatori e dei parlamenti locali. Oltre a quello della Corte suprema, con la nomina dell'ultra conservatore Neil Gorsuch. Mai in precedenza la scelta del presidente del Dnc era stata così incerta sino alla fine, con due round di votazioni che richiedevano la maggioranza dei 442 delegati. Generalmente il candidato favorito emergeva prima, rendendo le urne una pura formalità. Fin dall'inizio, comunque, la gara tra i sei candidati in lizza è sempre apparsa come un duello tra due personalità che rappresentano le due principali anime del popolo dem: quella moderata che fa riferimento ad Obama e ad Hillary Clinton, e quella più liberal rappresentata dal duo Bernie Sanders ed Elizabeth Warren. Obama appoggiava apertamente il suo ex ministro del Lavoro ed ora si trova ad avere un uomo fidato al comando del partito. Ellison era invece il candidato dell'ala progressista. Tra i suoi sostenitori anche il leader della minoranza al Senato Chuck Schumer e il sindaco di New York Bill de Blasio. Il presidente uscente del Dnc, Howard Dean, era invece per un terzo candidato, Pete Buttigieg, 35 anni, sindaco di South Bend, Indiana, che però è stato il primo a ritirarsi dalla corsa, senza dare il suo endorsement a nessuno. Ciascuno dei front-runner aveva promesso una resistenza aggressiva contro l'amministrazione Trump, di fronte ad una base elettorale già proiettata verso un possibile impeachment, e la ricostruzione dell'organizzazione del partito a livello statale e locale: una tacita ammissione dell'indebolimento dei Dem durante gli otto anni dell' amministrazione Obama, nonostante il suo successo elettorale personale. Nel suo intervento prima del voto Perez, che si è voluto scrollare di dosso quell'etichetta di rappresentante dell'establishment rimasta appiccicata negativamente a Hillary in campagna elettorale, aveva detto che il partito si trova di fronte ad una «crisi di fiducia» e di «rilevanza» dopo aver perso 1000 posti tra Capitol Hill e i parlamenti locali durante gli ultimi 10 anni. «Abbiamo bisogno - aveva aggiunto - di un presidente che non solo combatta Donald Trump ma che garantisca un messaggio positivo di inclusione e opportunità e parli alla grande comunità del partito democratico». Ellison, dal canto suo, aveva definito i democratici come quelli che «faranno sentire la propria voce, insorgeranno e proteggeranno il popolo americano», promettendo di trasformare «la dimostrazione di energia in energia elettorale» e privilegiando le piccole donazioni per finanziare il partito. In realtà non si sono sentiti grandi discorsi e grandi strategie. È vero che il presidente del partito non è necessariamente il suo futuro leader e che ha un ruolo fondamentalmente organizzativo. Ma sembra che i democratici inseguano troppo la resistenza a Trump senza essere ancora in grado di articolare un programma alternativo e convincente, capace di parlare più direttamente ad una working class bianca che si sta spostando nel campo repubblicano.