STRASBURGO. Per ora la certezza è che il prossimo presidente del Parlamento europeo sarà un italiano, anche se il vantaggio di Antonio Tajani su Gianni Pittella, i due favoriti della vigilia, sembra difficilmente recuperabile. Come previsto, la corsa per lo scranno più alto dell'aula di Strasburgo è stata una gara all'ultimo deputato tra il candidato del Ppe e quello socialista, finiti al ballottaggio dopo una giornata di votazioni che li ha sempre visti in testa, primo Tajani con un vantaggio di circa 90 voti.
Ora la gara si riduce a loro due. Il popolare continua a essere il favorito, grazie a uno scarto quasi incolmabile. Scura durante la giornata la faccia di Pittella, sorridente Tajani con cui molti eurodeputati hanno iniziato a farsi foto già durante le prime votazioni. Il candidato del Ppe si è piazzato in pole position fin dalla mattinata, lanciato da un accordo con i 68 liberali del gruppo Alde di Guy Verhofstadt, che sono andati a sommarsi ai 217 popolari. Un accordo che ha esposto nuovamente alle critiche il fianco dei liberali, passati nel giro di qualche settimana da una proposta di intesa fatta ai socialisti al patto con il Ppe, passando per un fallimentare tentativo di accordo con Grillo.
A complicare la partita di Tajani ci hanno pensato i conservatori del gruppo Ecr, un plotone di 74 deputati che in casa popolare davano già per acquisiti e che invece hanno mal digerito l'accordo del Ppe con l'Alde, definito un «approccio fallito e legato al passato». Tajani, alla fine, è riuscito aconvincerli, andando di persona al loro incontro di gruppo e cercando di ridurre le distanze tra i liberali euro-entusiasti e fautori di una nuova coalizione pro europea e i conservatori, che al loro interno hanno invece una forte componente euroscettica.
È apparsa in salita fin dal primo scrutinio, invece, la corsa del candidato S&D Gianni Pittella, indietro per tutti i primi tre turni. Nel quarto, il ballottaggio con Tajani, anche se riuscisse a fare convergere sulla sua candidatura tutti i Verdi e gli eurodeputati della sinistra unitaria, un centinaio in tutto, non riuscirebbe comunque a raggiungere il suo avversario, che con i voti conservatori manterrebbe un distacco di almeno una settantina di voti.
In ogni caso, una corsa con una suspence simile l'aula di Strasburgo non la vedeva da decenni. L'ultima volta, e l'unica, in cui si era arrivati al quarto turno di votazioni era stata nel 1982 per l'elezione dell'olandese Pieter Dankert. Fu anche l'ultima elezione 'verà, dato che da allora i presidenti sono sempre stati scelti con accordi preventivi tra i gruppi politici, che spesso si sono alternati nella carica nel corso della legislatura.
Trentotto anni dopo Emilio Colombo, dunque, l'Italia esprime di nuovo un presidente del Parlamento europeo, un ruolo che negli ultimi tempi ha acquisito un peso sempre maggiore, con la presidenza di Martin Schulz e dopo le riforme del Trattato di Lisbona che hanno aumentato le competenze dell'aula di Strasburgo. A prescindere dal vincitore, un'occasione per l'Italia per pesare di più in Europa nel momento della sua crisi più forte, in cui non mancano le frizioni tra Roma e Bruxelles su vari fronti, dalla flessibilità nei bilanci alla crisi migratoria.
Sullo sfondo di questa elezione, restano le alchimie da definire per quanto riguarda le altre istituzioni dell'Unione europea, oggi tutte presiedute dal Ppe. Finora l'equilibrio si era retto su una grande coalizione tra popolari, liberali e socialisti che oggi, ribadisce Pittella, «non ci sarà più».
Dalla Commissione però si dicono «fiduciosi» che invece la collaborazione continuerà. Resta da definire in che termini, dato che i popolari hanno già annunciato che non intendono rinunciare a nessuna delle tre presidenze.
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