WASHINGTON. A Collegio Elettorale riunito la votazione dei grandi elettori ha confermato l'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti superando la soglia dei 270 voti elettorali che assicurano l'ingresso del tycoon alla Casa Bianca senza riservare alcuna sorpresa: non la 'rivolta' auspicata da più parti, non l'ammutinamento, non la 'crisi di coscienzà dell'ultimo minuto. Trump supera così anche l'ultimo test elettorale prima di giurare da 45/mo presidente degli Stati Uniti il prossimo 20 gennaio.
Restano però i dubbi su quanto le cyberintrusioni guidate da Mosca -riconosciute dall'intelligence americana- abbiano voluto e alla fine potuto influenzare il processo elettorale. Un voto 'distorto' quindi? L'ultima parola è possibile solo dopo una approfondita inchiesta del Congresso, almeno secondo un gruppo di senatori -sia democratici sia repubblicani- che chiede a gran voce la creazione di una commissione d'inchiesta a Capitol Hill. A guidare l'iniziativa sono il senatore repubblicano ed ex candidato alla presidenza John McCain (tra l'altro strenuo critico di Trump durante la campagna elettorale) e da Chuck Schumer, leader della minoranza democratica al Senato.
«Le recenti notizie di interferenze russe nelle nostre elezioni dovrebbero allarmare tutti gli americani» si legge nella lettera che il gruppo di senatori ha inviato al leader della maggioranza repubblicana Mitch McConnell il quale ritiene tuttavia che la creazione di un'apposita commissione non sia necessaria. Donald Trump, da parte sua, non ha sottoscritto l'annuncio lanciato dall'intelligence sull'ingerenza di Mosca e dalle parole del suo futuro chief of staff alla Casa Bianca, Rience Priebus, non sembra intenzionato a cambiare idea, se non quando «tutte le agenzie di intelligence mostreranno di essere giunti alle stesse conclusioni».
Per i delusi, sarebbe proprio questa forse l'ultima speranza cui aggrapparsi per scongiurare una presidenza Trump, ovvero provare -dati alla mano- che il tycoon ha vinto le elezioni grazie a quella spinta russa. Non la pensano però cosi i grandi elettori, rimasti evidentemente impermeabili ai ripetuti appelli degli ultimi giorni e anche a qualche protesta di attivisti presso alcuni dei parlamenti locali dove si è tenuto il voto.
Qualche 'infedele' c'è stato, e per entrambe le parti: in Texas hanno rotto i ranghi in due sul fronte repubblicano. Tra questi con tutta probabilità Christopher Suprun, che aveva già reso noto nei giorni scorsi l'intenzione di ignorare il risultato delle urne non votando per Trump.
Una scelta che però gli ha portato pressioni, insulti e anche minacce di morte, ha detto in un'intervista alla Cnn. C'è però chi si ribella anche sul fronte democratico: nello Stato di Washington quattro grandi elettori sono andati contro l'indicazione di votare per Hillary Clinton. Qualcuno ci ha provato anche in altri stati, dove però le reggle lo vietano. Tra questi probabilmente anche David Bright, grande elettore del Maine. «Non lo faccio per rabbia o come atto di disobbedienza - aveva spiegato - ma per rappresentare le migliaia di elettori democratici in Maine, molti giovani, che quest'anno hanno votato per la prima volta per via di Bernie Sanders».
Persone:
Caricamento commenti
Commenta la notizia