NEW YORK. Non solo Taiwan. L'era Trump rischia di iniziare con l'apertura di un altro fronte: quello con l'Iran. Il Congresso ha infatti approvato l'estensione per dieci anni delle sanzioni. Un atto simbolico, visto che per colpire Teheran con misure restrittive non serve il via libera di Capitol Hill. Ma un atto che rischia di riaccendere tensioni che sembravano superate. Non a caso la reazione al voto unanime e bipartisan del Senato Usa non si è fatta attendere. «È un fatto che scredita Washington sulla scena internazionale», ha commentato il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, sottolineando comunque come «la decisione unilaterale degli Stati Uniti non avrà alcun impatto sulle relazioni dell'Iran con gli altri Paesi del mondo, anche nel caso di firma da parte del presidente Usa». E la firma della Casa Bianca dovrebbe arrivare nelle prossime ore, nonostante il presidente uscente abbia cercato fino all'ultimo di scongiurare la proroga dell'Iran Sanctions Act, entrato in vigore nel 1996 e in scadenza a fine anno. Convinto che questa forzatura da parte del Congresso rischi di incrinare quella fiducia recuperata tra Washington e Teheran e di mettere in pericolo lo storico accordo sul nucleare del luglio 2015. Accordo che Barack Obama sta cercando di rafforzare prima dell'insediamento di Donald Trump il 20 gennaio. Ma allo stesso tempo Barack Obama non può ignorare che sia alla Camera che al Senato la proroga del provvedimento è stata votata a larghissima maggioranza. Anche da molti 'falchi' democratici, secondo cui la proroga serve a far capire a Teheran che gli Usa non esiteranno a colpire se l'intesa sul programma nucleare non sarà rispettata alla lettera. Intanto - secondo il Financial Times - il 'transition team' di Donald Trump starebbe già esaminando una serie di proposte per imporre nuove sanzioni all'Iran. Misure legate al programma missilistico iraniano e al rispetto dei diritti umani che tecnicamente non violerebbero l'accordo del 2015. Ma che sarebbero viste come una vera e propria provocazione dalla repubblica degli ayatollah. A ingigantire il senso di incertezza sul futuro delle relazioni tra Teheran e l'amministrazione Trump sono poi alcune delle nomine chiave del tycoon, con almeno tre 'superfalchi' dichiaratamente nemici dell'accordo del 2015: l'ex generale dei marine James Mattis, nuovo capo del Pentagono, l'ex banchiere Steven Mnuchin, neo segretario al tesoro (quello che si occuperà delle sanzioni) e Mike Pompeo, nuovo numero uno della Cia.