NEW YORK. I leader sud americani e asiatici dopo quelli europei. Barack Obama continua il suo tour per rassicurare su Donald Trump e sulle sue politiche protezionistiche. E al vertice dell'Apec la missione del presidente si profila particolarmente ardua: dovrà affrontare il nodo della Trans-Pacific Partnership, calmare i timori cinesi su una possibile guerra commerciale, e forse avere un faccia a faccia con il presidente russo Vladimir Putin, dopo le esplicite accuse americane contro Mosca di cyberattacchi. «Il mondo dovrebbe concedere una chance a Trump» afferma Obama, invitando a non lasciarsi prendere la mano con giudizi affrettati sulle politiche commerciali del nuovo presidente. Se da un lato Obama ammette che potrebbero esserci tensioni commerciali fra gli Stati Uniti e l'America Latina, dall'altra parte è anche sicuro che una volta che Trump assumerà l'incarico e guarderà con maggiore attenzione gli scambi ne vedrà i benefici. L'invito di Obama alla cautela arriva in risposta del messaggio chiaro inviato al presidente eletto dai leader dell'Apec, ovvero un secco non al protezionismo. A consegnarlo è il cinese Xi Jinping, impegnandosi a rafforzare gli scambi commerciali e la cooperazione globale aprendo ulteriormente la Cina agli investitori stranieri. Senza citare esplicitamente Trump, il presidente cinese invita a respingere i tentativi per rallentare la cooperazione mondiale. «Dovremmo ampliarla. Gli sforzi per limitarla vanno respinti» afferma Xi, chiedendo la creazione di un'area di libera scambio fra i paesi dell'Asia-Pacifico per favorire una crescita più equa. La Cina, la seconda economia mondiale, è stata uno dei bersagli preferiti da Trump nel corso della campagna elettorale. Il presidente-eletto ha minacciato di etichettarla come 'manipolatore di valute" e di imporre dazi commerciali sui beni 'Made in China", anche quelli prodotti da società americane. Una posizione che ha spinto molti a ipotizzare una guerra commerciale fra le due superpotenze economiche, che andrebbe a scapito dell'economia mondiale, ampliando ancora di più quelle disuguaglianze alla base dell'ascesa dei populismi. A chiedere una crescita più inclusiva, che coinvolga anche gli esclusi della globalizzazione, è stato Obama dall'Europa. A chiederlo nelle ultime ore all'Apec è stato anche il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde: «la crescita deve essere più inclusiva», «le politiche commerciali devono fare attenzione alla gente». A dire no al protezionismo è anche il Messico, l'altro bersaglio di Trump. Il presidente Enrique Pena Nieto apre alla posisbilità di modernizzare il Nafta, ma dice no a rinegoziarlo. L'accordo di libero scambio che lega Canada, Stati Uniti e Messico è «importante» dice Pena Nieto. E molte aziende, soprattutto americane, sono dello stesso avviso. L'industria statunitense si è è adeguata all'intesa e ne è ora dipendente, così come lo sono il Messico e il Canada. L'accordo è centrale soprattutto per l'industria automobilistica americana, che produce e importa dal Messico auto e componenti. Per Obama quindi la partita è in salita. Oltre al Dragone cinese e ai timori del Messico, in agenda c'è la fine della Trans-Pacific Partnership, l'accordo commerciale che il presidente voleva a tutti i costi, ma che con la vittoria di Trump è ormai finito. Ai leader dei paesi del Ttp Obama dice di andare avanti con la collaborazione, assicurandosi però che gli accordi commerciali contribuiscano a ridurre la disuguaglianze.