WASHINGTON. Succede tutto dietro porte chiuse, molto ai piani alti della Trump Tower sulla Quinta Strada a Manhattan dove il presidente eletto Donald Trump e il suo vice Mike Pence si incontrano per fitte consultazioni volte a definire la squadra di governo. Perché le diverse anime politiche che hanno portato all'elezione del tycoon adesso sono in aperta collisione, sulle nomine e sulle caselle da riempire, quindi sulla linea da dare alla nuova amministrazione americana nonostante la promessa di una «rivoluzione commerciale» che «romperà con le ali globaliste sia di repubblicani che di democratici» a dare l'impronta dei suoi primi 200 giorni di lavoro.
Il fronte è spaccato a partire dalla paventata nomina di Rudy Giuliani come segretario di Stato. La conferma tarda a arrivare perchè la scelta è controversa: in queste ore si ricorda infatti un potenziale conflitto di interessi date alcune attività di consulenza dell'ex sindaco che rimandano ad alcuni paesi chiave, dal Venezuela di Hugo Chavez all'Arabia Saudita. Se ne era già parlato quando nel 2007 Giuliani aveva tentato la sua di corsa per la Casa Bianca, oggi però le sottolineature di fonti di stampa hanno effetto amplificato dopo che per l'intera campagna elettorale Donald Trump e il suo fronte si sono scagliati contro la Clinton Foundation e i dubbi sulla sua lista di donatori, presentato come limite insormontabile per la credibilità della rivale democratica Hillary Clinton poi sconfitta. Ma anche la promessa di smantellare quelle zone grigie in cui a Washington si incontrano politica e grandi interessi rappresentati da un esercito di lobbisti.
L'«organigramma con focus sulla politica Estera e di Sicurezza nazionale della nuova Casa Bianca emerge quindi al centro di una lotta intestina che rischia di rallentare oltre il dovuto il processo di transizione verso l'insediamento il prossimo 20 gennaio. Fonti parlando di stallo e confusione conclamata, il cui simbolo oggi è il ritiro dalla transition team (secondo alcuni è stato scaricato) di Mike Rogers, ex deputato che ha presieduto la commissione della Camera sull'intelligence.
Nei giorni scorsi Chris Christie era stato messo da parte e l'impresa era stata affidata al vicepresidente eletto Mike Pence con lo sguardo a Washington, ma non basta. Tra i fedelissimi risulta escluso anche Ben Carson, che dice di non volere un posto nell'amministrazione per mancanza di esperienza a livello governativo, sembra tuttavia che nessuna proposta in quel senso era comunque arrivata. Nel limbo al momento resta anche Kellyanne Conway, l'ultima dei diversi responsabili della campagna elettorale cambiati da Trump durante la corsa (tra questi Corey Lewandoski sul quale pare ci sia addirittura un esplicito veto).
Intanto su Capitol Hill il cielo si rasserena, almeno apparentemente, con le nuvole squarciate dalla conferma di Paul Ryan per la nomina ad un secondo mandato da Speaker della Camera. Lo hanno votato all'unanimità i deputati repubblicani e la conferma è attesa a gennaio con il voto dell'intera aula. Il dado però è tratto per Ryan, pronto ad essere lo Speaker dell'era Trump e l'unificatore Lo ha confermato lui stesso oggi nella sua prima uscita dopo l'elezione del tycoon, affermando: «Benvenuti all'alba di un nuovo governo repubblicano unito».
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