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Trump conferma: "Muro in Messico
e via dagli Usa 3 milioni di clandestini"
Prime nomine nel team di governo

WASHINGTON. Donald Trump conferma la linea dura sugli immigrati irregolari mentre non accenna a placarsi l'ondata di proteste contro la sua elezione alla Casa Bianca.

Altre marce sotto lo slogan 'Not my president' si sono svolte oggi per il quinto giorno consecutivo dopo quelle che hanno percorso ieri l'America metropolitana, da New York a Los Angeles, con una ventina di arresti a Portland ed altri sette a Las Vegas.

A far aumentare la tensione potrebbe essere l'intenzione del presidente eletto di fare un 'tour della vittoria' negli Stati che lo hanno eletto, come ha ventilato il suo staff, che sta già lavorando al programma. Ma anche il suo impegno a costruire il muro al confine col Messico e ad espellere subito due-tre milioni di clandestini con precedenti penali, come ha ribadito in un'intervista a 'Sixty minutes', popolare trasmissione della Csb. Dichiarazioni forti, ma che per alcuni potrebbero anche celare un possibile compromesso.

Il tycoon ha infatti precisato che in alcune aree non ci sarà muro ma recinzione, come proposto al Congresso dai Repubblicani, che stanno cercando una mediazione su vari temi. E se promette di usare il pugno di ferro con 2-3 milioni di clandestini dalla fedina penale sporca, espellendo o incarcerando "i membri delle gang e i trafficanti di droga", Trump si riserva di prendere una decisione sugli altri irregolari, che sono la maggioranza (circa dieci milioni), solo dopo aver messo in sicurezza la frontiera.

Ma sono distinzioni che poco contano agli occhi dei manifestanti, convinti che le politiche del neo presidente mineranno i diritti civili, in particolare quelli delle minoranze etniche, sessuali e religiose, metteranno a rischio il sistema sanitario e ignoreranno i cambiamenti climatici. Gli episodi di intimidazione e intolleranza si stanno moltiplicando nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, come se l'elezione di Trump avesse sdoganato un odio a lungo latente nella società. L'organizzazione americana per la difesa dei diritti civili ha già registrato sul suo sito oltre 200 incidenti a carattere razzista dopo il voto.

LA SQUADRA DI GOVERNO. Il presidente eletto Donald Trump ha scelto come chief of staff della Casa Bianca Reince Priebus, presidente del partito repubblicano.

Stephen Bannon, invece, presidente della campagna elettorale di Donald Trump, sarà il suo chief strategist e il suo consigliere 'anziano': lo rende noto un comunicato. Ex manager di Goldman Sachs, presidente del sito conservatore Breitbarb News, Bannon era in lizza anche per diventare capo dello staff della Casa Bianca.

In questi primi giorni da presidente eletto Donald Trump è alle prese con un dilemma nella formazione della sua futura squadra di governo: mantenere la linea anti-establishment che lo ha portato al trionfo puntando su fedelissimi e outsider o arrivare al compromesso con il partito repubblicano?

Per il tycoon la scelta appare per molti versi obbligata perché è il Grand Old party, con la sua maggioranza alla Camera e al Senato, ad avere in tasca le chiavi per realizzare molte delle riforme promesse. E l'arma per poterlo eventualmente disarcionare, sostituendolo con il più fidato vice Mike Pence (già promosso a capo del transition team): l'impeachment.

Per ora Trump ha riempito la sua squadra per la transizione con figli, parenti e lobbisti vicini ai repubblicani. Le nomine di governo saranno una cartina tornasole.

Altre caselle chiave per capire in che direzione si muove il presidente eletto sono quelle del segretario di Stato, alla Difesa e al Tesoro.

E del consigliere per la Sicurezza nazionale, carica che sembra contesa tra il generale Michael Flynn, un generale dell'intelligence in pensione che è stato il più stretto consigliere di politica estera di Trump, e 'l'interventista' Stephen Hadley, che ha ricoperto il ruolo con Bush e che è in lizza anche per il Pentagono. Chi sceglierà Trump? Un fedelissimo o una figura chiave dell'establishment repubblicano in politica estera?

Stesso ragionamento vale per gli altri posti dell'amministrazione, con toto-nomi che alternano figure vicine a Trump provenienti dal mondo privato a politici repubblicani con incarichi istituzionali. In questa fase delicata si inseriscono le pressioni spesso contrapposte di almeno tre gruppi. Il primo è quello del 'clan' famigliare (Donald Jr, Eric, Ivanka e il marito di quest'ultima, Jared Kushner ).

Il secondo è quello dei fedelissimi della prima ora, che vorrebbero una resa dei conti con chi nel partito repubblicano non ha sostenuto la candidatura di Trump. Il terzo è quello del Grand Old Party, con Priebus e Pence grandi mediatori. Trump, che non ha nessuna esperienza di governo, dovrà trovare la quadratura del cerchio per accontentare tutti e garantirsi il disco verde al Congresso, senza però annacquare troppo le sue promesse.

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