WASHINGTON. Figli, parenti e lobbisti nel transition team, con possibili conflitti di interessi personali e pubblici: parte col piede sbagliato il presidente eletto Donald Trump muovendo i primi passi nel cammino che il 20 gennaio lo porterà al giuramento per la Casa Bianca.
Per tutta la campagna elettorale il tycoon aveva promesso che, in caso di elezione, avrebbe affidato il suo variegato impero economico ad un 'blind trust' gestito dai tre figli più vecchi, Donald Jr, Ivanka ed Eric. Il vero blind trust è quello in cui gli asset di una persona sono controllati da parti terze, indipendenti, non in contatto con il proprietario, quindi "cieco", ma quello disegnato da Trump ha un occhio aperto e uno chiuso, visti i legami famigliari.
La decisione, confermata giovedì, è apparsa ancora più controversa il giorno dopo, quando gli stessi tre figli sono stati inclusi nel team della transizione, insieme al marito di Ivanka, Jared Kushner, uno dei suoi consiglieri più influenti. In questo ruolo i tre figli avranno voce nella scelta delle persone da mettere nei posti chiave dell'amministrazione, comprese le autorità regolatorie le cui decisioni possono avere conseguenze sulle varie attività del magnate. Un doppio ruolo che ha fatto storcere il naso a molti: media, esperti, mentre i democratici sono rimasti silenti.
"Una dimostrazione di quanto sia inappropriato il loro ruolo nel mediare tra Trump come businessman e come politico", ha osservato Meredith McGehee, consulente del Campaign legal center, che monitora la legalità del settore finanziario anche nelle campagne elettorali.
"Se i figli gestiscono il cosiddetto blind trust e ricoprono anche qualche funzione governativa, formalmente o informalmente, questo aggraverà potenziali conflitti di interesse e questioni etiche causate dalla mancata separazione tra il suo business e le sue funzioni" come presidente, le ha fatto eco Kenneth Gross, un'esperta di legislazione politica contattata dal Washington Post. La questione di quanto sia realmente 'blind' (cieco) il trust non è nuova.
Nel 2012, ad esempio, il candidato presidenziale repubblicano Mitt Romney fu criticato per aver affidato i suoi asset ad un trust gestito dai suoi vecchi colleghi alla Bain Capitol. Anche Hillary Clinton è stata più volte attaccata per i presunti conflitti di interesse della Fondazione di famiglia quando era segretario di Stato. Problemi che si sarebbero riproposti se fosse stata eletta e avesse lasciato la figlia Chelsea a dirigerla.
Trump deve fronteggiare non solo le accuse di un possibile conflitto di interesse, come a suo tempo Silvio Berlusconi, cui è spesso paragonato, ma anche quelle di aver riempito il suo team per la transizione, dopo una campagna contro il potere corrotto e la sua collusione con le lobby, di consulenti aziendali e lobbisti. Professionisti che arrivano dalle stesse industrie per le quali sono chiamati a definire le basi regolatorie.
Il Nyt fornisce alcuni esempi: Jeffrey Eisenach, che ha lavorato come consulente per Verizon e altri clienti delle tlc, è il capo della squadra che sta aiutando a selezionare i membri per la commissione federale delle comunicazioni; Michael Catanzaro, un lobbista con clienti come Devon Energy ed Encana Oil and Gas, ha in mano il portafoglio per l'indipendenza energetica; Michael Torrey, un lobbista che dirige un'azienda che ha guadagnato milioni di dollari con player dell'industria alimentare come American Beverage Association e Dean Foods, sta contribuendo a definire il nuovo team del dipartimento dell'agricoltura.
C'è poi Myron Ebell, ora a capo dell'Enviromental Protection Agency, dopo aver diretto le politiche 'ambientali' di una lobby finanziata dall'industria del carbone. Un altro segnale, dopo la parziale marcia indietro sull'Obamacare, che non riuscirà a rispettare tutte le sue promesse e che dovrà venire a patti con quell'establishment "corrotto" che aveva vituperato in campagna elettorale.
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