NEW YORK. Una strada lunghissima, eppure sbarrata. Si infrange il sogno di Hillary Clinton che per la seconda volta, l'ultima, non riesce a varcare la soglia della Casa Bianca da presidente, lasciando intatto quel soffitto di cristallo, "il più alto e più duro", che con tanta enfasi di metafora aveva voluto far allestire anche per celebrare l'iscrizione indelebile del suo nome nella Storia. E invece sul palco del Javits Center, il centro congressi fatto di vetrate lungo l'Hudson a Manhattan dove tutto era pronto per la festa, Hillary Rodham Clinton non è mai arrivata, lasciando i suoi sostenitori a vivere da soli la memorabile maratona elettorale, nata sotto un sole splendente ad illuminare le speranze e chiusa tra le lacrime e i silenzi del suo popolo incolonnato verso l'uscita ancor prima che fosse calato il sipario. "E' una sconfitta dolorosa e lo sarà per molto tempo. Sono delusa", dice Hillary comparendo soltanto il giorno dopo, quasi con le lacrime agli occhi. "Il soffitto di cristallo non è stato infranto, ma accadrà", promette, premurandosi di parlare alle ragazze e alle bambine, per non far sì che questa sua ultima e fatale caduta fermi loro e le loro speranze. Una rassicurazione forse tardiva, perché a migliaia avevano aspettato per ore di entrare, in fila tutto intorno al Javits Center. Tra loro anche molti di quei millennial che l'ex segretario di Stato aveva fatto fatica a conquistare nel paragone con Bernie Sanders. "Sì, ho dovuto difenderla nelle discussioni con i miei coetanei", ammetteva la 28enne Emily quando nel primo pomeriggio di ieri l'entusiasmo era al suo picco. Susan invece, sostenitrice 'storica' di una certa età, fotografava il momento con realismo: "Ha fatto degli errori, ma come ne hanno fatti altri", dicendosi particolarmente preoccupata per l'alternativa, in un'elezione di fatto senza precedenti per la scelta in ballo "tra due visioni opposte dell'America". Non è bastato. Non è stata sufficiente l'esperienza e l'impegno della giovane avvocato, della first lady che aveva voluto un suo ufficio nella West Wing, della senatrice, della segretario di Stato. Ed è risultato evidente quando le proiezioni sparate sul megaschermo dell'auditorium addobbato a festa cominciavano ad attribuire stato chiave dopo stato chiave al candidato repubblicano. A partire dall'Ohio. "Adesso siamo nervosi, sì. Ma è presto. Aspettiamo la Florida e restiamo fiduciosi". Poi proprio con lo spoglio nel Sunshine State il sogno è cominciato a svanire, i volti ad incupirsi, i boati e gli slogan a diradarsi. L'attesa è diventata silenziosa, tesa, ma tenace per alcuni: "Hillary ha aspettato 19 anni, noi possiamo aspettare sei ore". Oppure: "Certo, non ci aspettavamo che la serata sarebbe stata così lunga". Cautela diventata poi rapidamente incredulità. E dopo l'attribuzione della Florida e l'ultima sottile speranza rimasta appesa al Midwest che raramente aveva contato così tanto, niente più commenti, solo scrollate di spalle e lo sguardo basso nel guadagnare l'uscita, schivando i giornalisti. Quasi 3000 gli accrediti concessi ed un muro di telecamere provenienti da tutto il mondo puntate verso il palco rimasto vuoto. "Devastante!", Gary Brown è tra i pochi che a quel punto accetta di commentare quanto accaduto ma non riesce a trattenere le lacrime: "Sono arrivato qui oggi pensando che i miei figli avessero speranze per il futuro, me ne vado sentendomi parecchio diverso". Nessun motivo per trattenersi oltre, poi la conferma che Hillary non verrà, al suo posto il presidente della campagna John Podesta e il tentativo estremo di rassicurare: "I voti vanno contati, niente da dire adesso, andiamo a casa. Grazie". Ma una volta fuori, sugli schermi compare già Trump che parla da presidente eletto, ed è davvero finita.