REYKJAVÍK. È fallito l'arrembaggio dei 'Pirati' al parlamento islandese. Il gruppo anti-sistema ha infatti conquistato alle elezioni solo il terzo posto, piazzandosi dietro al partito dell'Indipendenza - formazione conservatrice già al governo in coalizione dal 2013 - e perfino ai Verdi, anche se ha visto triplicare i propri seggi, passati da tre a 10. Alla fine però è stata preferita la continuità alla 'rivoluzione' voluta dai Piratar e il risultato per loro è lontano dall'exploit previsto da alcuni sondaggi.
Nel segreto delle urne gli islandesi non si sono affidati in massa a chi prometteva in campagna elettorale l'introduzione di una democrazia diretta, di sottoporre i lavori del governo a un esame minuzioso, di mettere le risorse naturali sotto il controllo pubblico e di offrire la cittadinanza alla 'talpa' del Datagate, Edward Snowden. I risultati parlano chiaro: agli Indipendentisti vanno 21 seggi (29% dei voti), 10 ai Verdi (15,9%) e altrettanti ai Pirati (14,5%). Debacle invece per il partito progressista, che con l'11,5% dei consensi perde ben 11 seggi e ne mantiene solo 8, pagando le dimissioni da premier dell'ex leader Sigmundur Gunnlaugsson, coinvolto lo scorso aprile nello scandalo dei Panama Papers.
Si pensava che proprio questo 'terremoto' politico avrebbe spinto l'elettorato ad un drastico cambiamento di rotta, mandando a casa la coalizione formata da progressisti e indipendentisti. Al momento però il quadro politico appare dominato dall'ingovernabilità e fin da subito è iniziato il balletto delle possibili alleanze per formare un esecutivo.
Dal canto loro i Pirati si dicono molto soddisfatti per il risultato raggiunto. «Le nostre previsioni interne ci davano al 10-15%, quindi la percentuale ottenuta è molto alta. Sapevamo che non saremmo mai arrivati al 30%», ha detto la fondatrice del movimento, Birgitta Jonsdottir. Ora potrebbero comunque cercare di accedere ai posti di governo formando ad esempio una coalizione di centro sinistra.
Molto difficile appare una alleanza con i conservatori - che in quanto primo partito dovranno iniziare le trattative - anche se secondo gli osservatori non si può escludere nulla. Uno dei forti limiti però è la mancanza di esperienza di quanti compongono il movimento anti-sistema: i partiti tradizionali temono infatti che questo possa influire sul modo in cui gli investitori vedono l'Islanda e così destabilizzare l'economia nazionale in fase di ripresa dopo la crisi finanziaria.
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