NEW YORK. Dopo il quinto test nucleare realizzato da Pyongyang nulla può essere più considerato come prima. I primi a saperlo sono gli Stati Uniti, con l'amministrazione Obama che deve prendere atto del fallimento della politica delle sanzioni progressive portata avanti in seno alle Nazioni Unite. E a lanciare l'allarme - come riporta il New York Times - sono molti esperti civili e militari: la Corea del Nord avrà presto le capacità di realizzare entro il 2020 testate nucleari intercontinentali in grado di minacciare mezzo mondo, a partire dagli Stati Uniti e comprese città come New York e Washington. Il programma nucleare del regime guidato da Kim Jong-un viene infatti definito «sorprendentemente avanzato», con missili sempre più piccoli, veloci e leggeri. Un'accelerazione che non può non preoccupare la comunità internazionale finora incapace di fermare le ambizioni atomiche del giovane dittatore. «Hanno incredibilmente stretto i tempi della sperimentazione e questo non può essere ignorato in alcun modo», spiega al Nyt John Schilling, uno dei massimi esperti del programma nucleare nordcoreano: «Questa deve essere la priorità assoluta per il prossimi presidente degli Stati Uniti». Un messaggio dunque rivolto a Hillary Clinton e Donald Trump, mentre Barack Obama dovrà fare i conti negli ultimi mesi della sua permanenza alla Casa Bianca con un cambio di strategia che oramai appare come necessario. Anche perché esperti militari parlano chiaramente non solo dei progressi compiuti da Pyongyang sul fronte dei missili balistici, ma anche del materiale nucleare che il regime avrebbe accumulato negli ultimi anni: abbastanza - spiegano - da realizzare almeno 100 testate atomiche. In molti ricordano quindi come il Pentagono, già in un rapporto diffuso all'inizio del 2016, metteva in guardia sugli ultimi missili sperimentati da Pyongyang che, se perfezionati, potrebbero raggiungere gran parte del suolo americano. Il grande dilemma è come contrastare efficacemente questa escalation. Le sanzioni hanno fallito, così come l'intera strategia portata avanti a livello del'Onu dove però bisogna fare i conti con la Cina che - nonostante l'irritazione verso Kim - continua di fatto a proteggere l'alleato nordcoreano. A questo punto - sottolineano i media americani - le strade che Washington potrebbe imboccare sono sostanzialmente due e opposte tra loro. La prima - la più rischiosa - è quella di un embargo totale verso Pyongyang, con gli Usa e gli alleati che bloccano tutti gli scambi da e verso la Corea del Nord, paralizzando le sue finanze. La paura dei partner asiatici degli Usa è però quella che tale strategia porti ad una vera e propria guerra. La seconda opzione - la più controversa - è una ripresa dei negoziati col regime dittatoriale nordcoreano, col pericolo però di darla vinta a Kim e alla sfida da lui lanciata al mondo. Se Pyongyang è pronta a parlare di declunearizzazione Washington è pronta ad avviare colloqui, ha detto nelle ultime ore il segretario di stato americano John Kerry. Uno scenario che al momento sembra però irrealistico, come quasi impossibile appare in questa fase avviare un cammino di normalizzazione delle relazioni tra Corea del Nord e Occidente e un accordo di pace che rimpiazzi l'armistizio del 1953 che pose fina alla guerra di Corea ma non alle ostilità tra il nord e il sud della penisola.