BAGHDAD. Non era stato mandato a uccidere e a morire da solo il baby-kamikaze fermato a Kirkuk, in Iraq, con indosso un giubbetto esplosivo sotto la maglietta di Lionel Messi. La polizia ha detto che un attentato suicida avvenuto un'ora prima nella stessa città è stato compiuto da suo fratello, e che i due ragazzi erano stati «addestrati ed incoraggiati dal loro padre».
Un particolare che getta una luce ancor più sinistra sulla tragedia di molti adolescenti utilizzati dallo Stato islamico come 'bombe umane" dopo aver subito il lavaggio del cervello, forse sotto l'effetto di droghe. Il colonnello Arkan Hamad Latif, ispettore generale delle forze di polizia di Kirkuk, ha riferito che il ragazzo arrestato ha detto di «essere stato rapito, sedato e costretto ad indossare il giubbetto esplosivo».
Non è più sicuro, invece, che sia stato un altro piccolo kamikaze a compiere l'attentato di sabato sera in una festa di matrimonio nella città turca di Gaziantep, vicino alla frontiera con la Siria, in cui almeno 54 persone sono morte, di cui 29 bambini o adolescenti. In un primo momento il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva parlato di un ragazzino di forse «12-14 anni».
Ma poi il primo ministro Binali Yildirim ha corretto il tiro: «Le autorità - ha detto - non sanno se fosse un bambino o un adulto. Non sono stati trovati indizi su chi fosse». Anche la vicenda di Kirkuk presenta qualche punto oscuro. Il colonnello Latif, che ha fornito anche il nome del ragazzo aspirante kamikaze, ha detto che si tratta di un quindicenne - e non dodicenne, come si era appreso in un primo momento - proveniente da Mosul insieme alla sua famiglia, sfollata a causa dei combattimenti tra forze lealiste e l'Isis.
A parlare del ruolo che il padre avrebbe avuto nel suo indottrinamento è stato il comando della polizia di Kirkuk in un comunicato. Il capo della polizia della città, il generale Khattab Omar Aref, ha detto che l'adolescente ha confessato di far parte dei cosiddetti 'Cuccioli del Califfatò, un corpo di ragazzi tra i 12 e i 15 anni reclutati dall'Isis e in parte utilizzati proprio per attentati suicidi. Obiettivo del quindicenne era quello di farsi saltare in aria sulla via Husseiniya nel quartiere di Tesin, popolato da una maggioranza di turcomanni di fede sciita particolarmente invisi ai fondamentalisti sunniti dell'Isis.
Il fratello invece, di cui non è stata resa nota l'età, è riuscito a compiere un attentato vicino ad un luogo di culto sciita, la Hosseiniya Imam Jafer Sadiq, ferendo due persone. Che i due ragazzi fermati fossero stati rapiti, drogati o convinti dall'Isis o dal padre a compiere le loro azioni suicide, rimane il fatto che sono anch'essi vittime di una guerra che vede lo Stato islamico ricorrere a mezzi sempre più terribili e micidiali per rispondere alle offensive governative e dei Peshmerga curdi che li mettono in difficoltà nei combattimenti.
A sottolinearlo è anche Najim al Jubury, un esperto commentatore delle questioni della sicurezza, secondo il quale l'Isis «ha reclutato centinaia di minori a Mosul e in altre città sotto il suo controllo, e li ha inviati con le loro famiglie come sfollati in aree sotto il controllo lealista per compiervi azioni suicide».
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